Nota a Cass. civ., ord. 20 ottobre 2025, n. 27923
Con l’ordinanza n. 27923/2025, depositata il 20 ottobre 2025 dalla Terza Sezione civile, la Corte di Cassazione interviene nuovamente sul tema della culpa in vigilando dei docenti, delineando un principio destinato ad incidere in modo significativo sul contenzioso scolastico relativo a lesioni, incidenti e responsabilità risarcitorie all’interno degli istituti di istruzione.
Con l’ordinanza n. 27923 del 20 ottobre 2025 la Corte di Cassazione interviene su una vicenda che ruota attorno a un tema tanto frequente quanto delicato nella scuola italiana: dove finisce il dovere di vigilanza dei docenti e dove inizia l’autonoma responsabilità degli studenti?
Il caso nasce da un incidente verificatosi all’ITIS “A. Pacinotti” di Taranto, dove uno studente, all’uscita dall’ora di educazione fisica, fu colpito accidentalmente da un casco da moto lanciato da un compagno nello spogliatoio della palestra, riportando la rottura di due denti. Il ragazzo agì per ottenere il risarcimento dei danni, sostenendo che la scuola non aveva vigilato sullo spogliatoio, che nessun adulto era presente e che un oggetto potenzialmente pericoloso non avrebbe dovuto avere accesso ai locali scolastici. La domanda è stata però rigettata in appello e, poi, definitivamente respinta dalla Cassazione.
Il nodo centrale della decisione è rappresentato dalla responsabilità della scuola nella prospettiva della cosiddetta culpa in vigilando. La Corte ribadisce che esiste senz’altro un obbligo di protezione dell’integrità fisica dell’allievo durante tutto il tempo in cui fruisce della prestazione scolastica; tale obbligo trae origine dal rapporto contrattuale che si instaura tra studente e istituto al momento dell’iscrizione. Tuttavia, questo principio non è assoluto e non può essere declinato come una forma di sorveglianza permanente e capillare. Secondo i giudici di legittimità, la misura della vigilanza deve essere valutata alla luce delle circostanze concrete e, soprattutto, dell’età degli studenti coinvolti. La responsabilità scolastica tende infatti a ridursi quando gli alunni sono prossimi alla maggiore età e dotati di piena capacità di discernimento.
Da qui deriva l’affermazione più significativa contenuta nella pronuncia: il comportamento dannoso posto in essere da uno studente ormai maturo integra una presunzione di caso fortuito, cioè di evento non prevedibile né prevenibile attraverso la normale diligenza. Ne consegue che per escludere la responsabilità della scuola non è sufficiente discutere dell’assenza fisica del docente nello spogliatoio, ma occorre verificare se la condotta in questione possa dirsi ragionevolmente prevedibile in base all’età e all’autonomia degli studenti. La Cassazione osserva, con un ragionamento molto concreto, che nello spogliatoio maschile la docente di educazione fisica, essendo donna, non poteva entrare e che non si può pretendere dalla scuola l’organizzazione di un controllo costante in ogni ambiente in ogni momento. Ritiene inoltre infondata l’argomentazione secondo cui l’istituto avrebbe dovuto predisporre la presenza di un collaboratore scolastico uomo nello spogliatoio, giudicando tale pretesa una semplice “suggestione” teorica non sorretta da un obbligo giuridico effettivo.
Molto netta anche la parte della motivazione dedicata all’oggetto utilizzato nel gesto che ha provocato il danno. Il casco da moto, a giudizio della Corte, deve essere considerato alla stregua di un indumento e, come tale, può entrare a scuola, non essendo assimilabile a uno strumento pericoloso o vietato. Allo stesso modo in cui non si può impedire agli studenti di portare zaini, cellulari o borracce, non si può configurare una responsabilità scolastica solo perché un oggetto personale, normalmente innocuo, sia stato impiegato in modo accidentale da un compagno. La giurisprudenza valorizza dunque il criterio della prevedibilità della condotta: la scuola risponde quando avrebbe potuto e dovuto evitare l’evento; non risponde quando quest’ultimo deriva da un gesto improvviso e non prognosticabile.
Sul piano processuale la sentenza è altrettanto chiara. Il ricorso è stato respinto in toto e il ricorrente è stato condannato non solo a pagare le spese in favore dell’assicurazione, ma anche a versare somme aggiuntive ex art. 96 c.p.c. per lite temeraria, oltre al contributo unificato supplementare. Il messaggio, per gli operatori del diritto, è inequivocabile: insistendo in giudizi privi di reali margini di successo si rischia non solo la soccombenza, ma anche sanzioni economiche significative.
In conclusione, la Corte riafferma un principio di buon senso che avrà effetti concreti nella gestione delle responsabilità scolastiche: non si può pretendere dal personale un controllo assoluto e ininterrotto, soprattutto quando gli studenti sono ormai autonomi, quasi maggiorenni e capaci di autodisciplina. L’obbligo di vigilanza non scompare, ma si modula in funzione dell’età e della prevedibilità degli eventi. Questa linea interpretativa, già presente in precedenti pronunce, viene ora ribadita con forza, fornendo un riferimento importante sia per le scuole che per i legali impegnati nel contenzioso per danni all’interno degli istituti scolastici.








