Commento a Cassazione civile, ord. n. 11614/2025

Premessa

La vicenda in esame ha origine in una scuola secondaria di primo grado ligure, dove alcuni alunni subivano molestie sessuali da parte di un docente sia nelle ore di lezione che durante una gita scolastica. L’insegnante veniva quindi condannato per il reato di abusi e violenze sessuali ed i genitori delle vittime, successivamente, convenivano in giudizio il Ministero dell’Istruzione ottenendo il risarcimento del danno biologico e morale. 
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello condannavano il Ministero, applicando l’art. 2049 c.c., a norma del quale il datore di lavoro è responsabile per i danni causati dai propri dipendenti nell’esercizio della loro attività lavorativa.
La vicenda approdava, infine, alla Corte di Cassazione dove il Ministero contestava la propria responsabilità, ritenendo che la condotta illecita dell’insegnante costituisse uno sviluppo anomalo e imprevedibile rispetto alle funzioni assegnate.
 
La responsabilità per il fatto illecito dei dipendenti pubblici
La responsabilità della Pubblica Amministrazione per il fatto illecito dei propri dipendenti si fonda innanzitutto sull’art. 28 della Costituzione, a norma del quale la responsabilità civile dei dipendenti si estende alla pubblica amministrazione.
Tale estensione presuppone un collegamento tra l’atto illecito e l’esercizio dell’attività istituzionale, quindi richiede che l’attività del dipendente si manifesti come esplicazione dell’attività dell’ente pubblico in quanto tenda al conseguimento dei fini istituzionali di quest’ultimo. Tale nesso viene meno qualora il funzionario agisca per fini strettamente personali.
A partire dalla sentenza n. 13246/2019 della Corte di Cassazione a sezioni unite, si è però assestato un quadro interpretativo che tratteggia un sistema a doppio binario relativamente alla responsabilità della P.A., precisando che, accanto alla responsabilità diretta, incardinata sul rapporto organico Stato/dipendente e fondata sull’art. 28 Cost., si aggiunge la responsabilità indiretta di cui all’art. 2049 c.c.
Tale ultima norma configura una responsabilità oggettiva per fatto altrui, che può considerarsi un’applicazione moderna del principio contenuto nel brocardo latino “cuius commoda eius et incommoda” (colui che trae vantaggi da un’attività, ne sopporta anche gli svantaggi)
In questo caso, la responsabilità dei padroni e committenti per il fatto del dipendente non richiede che tra le mansioni affidate all'autore dell'illecito e l'evento sussista un nesso di causalità, essendo sufficiente che ricorra un rapporto di “occasionalità necessaria”, nel senso che le incombenze assegnate al dipendente abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno al terzo.
Quindi l’ente pubblico risponde dei danni determinati dalla condotta del proprio dipendente, anche quando essa è deviante rispetto al fine istituzionale perseguito dall’Amministrazione, purché la condotta sia oggettivamente prevedibile come sviluppo non anomalo delle mansioni attribuite. Non ne risponde, invece, se l’attività del preposto non corrisponda, neppure quale degenerazione o eccesso, al normale sviluppo degli eventi connessi all’espletamento delle sue incombenze.
 
Le molestie agli alunni come condotta non anomala
Partendo da tale premessa la Corte, con l’ordinanza in commento, affronta un duplice quesito: se rientri nell’ambito delle attività della scuola, e quindi del MIM, l’affidamento al personale scolastico della cura e vigilanza sui minori, ma, soprattutto, se sia prevedibile una rilevante deviazione dai compiti conferiti (come quella concretizzatasi nel caso in esame), risultando conseguentemente doveroso l’apprestamento di adeguate misure di prevenzione. E la risposta è affermativa.
Infatti alla scuola spetta l’obbligo giuridico di vigilare sulla sicurezza e sull’incolumità degli allievi, nel tempo in cui questi fruiscono della prestazione scolastica. 
In proposito la Corte richiama Cass. civ. 14980/2024 secondo cui “il contratto scolastico” comprende, accanto all’obbligo principale di istruire ed educare, quello accessorio di proteggere e vigilare sull’incolumità fisica e sulla sicurezza degli allievi. Ciò comporta, principalmente a carico del dirigente scolastico, la necessità di adottare ogni accorgimento utile a prevenire potenziali pericoli derivanti da cose o da persone.
Già in una precedente pronuncia (sent. n. 13457/2013), la Cassazione aveva affermato che «l'amministrazione scolastica è tenuta a risarcire, a titolo di responsabilità contrattuale, i danni subiti da un'alunna minorenne che, mentre si trovava nei bagni della scuola, era rimasta vittima di violenza sessuale commessa da un operaio incaricato dei lavori di manutenzione dell'immobile», sul presupposto, appunto, che dall’obbligazione di vigilanza nascente dall’accettazione della domanda di iscrizione, derivi anche il dovere di predisporre gli accorgimenti necessari ad evitare i pericoli, compresi quelli derivanti dalla esistenza di lavori di manutenzione dell'immobile, che implicano la prevedibilità di pericoli derivanti dalle cose (cantiere aperto) e da persone estranee alla scuola e non conosciute dalla direzione didattica, ma autorizzate a circolare liberamente per il compimento della loro attività.
Quanto al requisito dello “sviluppo non anomalo della funzione del dipendente”, la suprema Corte rileva che «in base a specifici indici ritraibili (a contrario) dalla disciplina normativa, le situazioni di affidamento di minori per fini di istruzione (et similia) costituiscono un humus particolarmente insidioso per gli abusi sessuali». E cita in proposito sia le norme del codice penale che prevedono come aggravanti di reati o circostanze che determinano la punibilità, le situazioni di chi assume compiti di cura, educazione, istruzione e vigilanza ; sia il rapporto esplicativo della “Convenzione di Lanzarote” , che individua il contesto scolastico come ambiente nel quale il rapporto di fiducia che si instaura con i minori merita una particolare attenzione e quindi una maggior protezione degli stessi.
Infine, la Corte rileva che anche sotto il profilo statistico non è infrequente che a rivolgere morbose attenzioni di natura sessuale a soggetti minorenni siano proprio le persone alle quali è affidata la loro cura, perché tale tipologia di compiti crea una situazione maggiormente favorevole ai predatori sessuali.
Pertanto, la Cassazione conclude affermando che «le condotte delittuose perpetrate in danno degli alunni, pur se opposte rispetto ai fini istituzionali perseguiti dall’ente pubblico, non sono oggettivamente improbabili e, dunque, non costituiscono un’anomalia imprevedibile, tale da esentare la Pubblica Amministrazione dal dovere di adottare ogni misura volta a prevenire ed evitare la commissione di siffatti reati durante la somministrazione delle prestazioni scolastiche e, in ogni caso dall’assunzione del rischio derivante dalle commissione di crimini nel corso di questa».
 
Le implicazioni pratiche per il dirigente scolastico
Il dirigente, in quanto datore di lavoro per la propria istituzione (art. 2 DLgs 81/2008), ha il potere di organizzare l’attività scolastica e, in base all’art. 25 del DLgs.165/2001, svolge compiti di direzione, gestione, organizzazione e coordinamento del personale e delle risorse. In particolare, tra i suoi doveri specifici rientrano proprio funzioni organizzative e di controllo sull’attività del personale scolastico. 
Ciò significa che il preside può adottare ordinanze e direttive interne – ad es. aggiornare il regolamento d’istituto – per stabilire come va gestita la vigilanza sugli studenti e la prevenzione dei rischi. 
Tuttavia non è affatto agevole individuare, in astratto, quali azioni potrebbe compiere il dirigente per prevenire comportamenti come quelli indicati, specie se non sussistono specifici indizi di impropri comportamenti di natura sessuale nei confronti di studenti.
Quel che si può raccomandare, in via generale, è di effettuare sempre, al momento dell'instaurazione del rapporto di lavoro, i controlli al casellario giudiziale per verificare che non sussistano reati ostativi, tra i quali sono certamente ricompresi i delitti sessuali a danno dei minori.
Può inoltre apparire opportuno curare momenti formativi del personale dedicati agli obblighi di vigilanza e protezione, anche con un focus sui reati in danno dei minorenni e sui possibili segnali comportamentali di abuso, rammentando l’obbligo di segnalazione di reati e raccomandando di evitare contatti personali inappropriati con gli studenti (anche tramite i social media).
Può altresì risultare utile disporre che eventuali attività pomeridiane, come ad esempio gli” sportelli didattici”, che potrebbero svolgersi anche a favore di un solo allievo, si realizzino tenendo aperte le porte delle aule.
Infine l’attivazione del team anti bullismo, così come dello sportello di ascolto psicologico, benché rispondano principalmente ad altre finalità, possono tuttavia costituire utili canali di acquisizione di informazione relative a eventuali comportamenti illeciti del personale.
 
Conclusione
La recente pronuncia della Cassazione rappresenta un chiarimento, e, ad un tempo, un aggravamento dei doveri di vigilanza e prevenzione in capo alle istituzioni scolastiche.
Il messaggio è chiaro: la scuola, e per essa in prima istanza il MIM , non può considerarsi esonerata dalla responsabilità per gli abusi commessi dal proprio personale, anche quando questi si discostano notevolmente dai fini istituzionali dell’istruzione ed educazione.
L’asserita prevedibilità del rischio di abusi in ambito scolastico impone quindi ai dirigenti di adottare una strategia di prevenzione, che comprenda controlli preliminari, formazione, misure organizzative trasparenti e sistemi di monitoraggio.
Attraverso un approccio proattivo e consapevole sarà possibile ridurre i rischi per la sicurezza degli alunni e, al contempo, tutelare l’istituzione scolastico da responsabilità che, come dimostra il caso in esame, possono essere molto onerose.
 
Di Gianluca Dradi su Dirigere la scuola n. 10 2025