L’Ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, n. 13640 del 21 maggio 2025, è una pronuncia di enorme rilievo nel diritto scolastico, perché riconferma e consolida il principio di abuso nella reiterazione dei contratti a termine dei docenti di religione cattolica ai sensi della Direttiva 1999/70/CE e della legge 186/2003.


La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul tema, da anni al centro del contenzioso scolastico, della reiterazione dei contratti a tempo determinato dei docenti di religione cattolica (IRC), riaffermando il principio dell’abuso nella successione di incarichi annuali in assenza dell’indizione dei concorsi triennali previsti dalla legge 186/2003

L’ordinanza n. 13640, depositata il 21 maggio 2025, accoglie il ricorso di un gruppo di insegnanti di religione contro il Ministero dell’Istruzione, cassando la decisione della Corte d’Appello di Venezia (n. 121/2020) e rinviando la causa alla stessa in diversa composizione.

I ricorrenti avevano prestato servizio per oltre un decennio come docenti IRC con successivi contratti annuali rinnovati di anno in anno.
Il Tribunale di Vicenza aveva riconosciuto solo un ristoro economico (dieci mensilità ex art. 32 L. 183/2010), mentre la Corte d’Appello veneziana aveva escluso qualsiasi abuso, ritenendo giustificata la flessibilità per il 30 % dei posti, legata alla “facoltatività della materia” e alle esigenze variabili di organico.

La Cassazione ribalta questo orientamento, sostenendo che la legge 186/2003 – che disciplina il reclutamento dei docenti di religione cattolica – non può essere interpretata in modo da consentire la reiterazione indefinita dei contratti su posti stabili.

Richiamando il proprio precedente (Cass. n. 18698/2022) e la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la Suprema Corte ribadisce che:

«Nel regime speciale dei docenti di religione cattolica costituisce abuso la reiterazione di contratti annuali per oltre tre anni in assenza del concorso triennale previsto dalla legge 186/2003.»

La Corte evidenzia che l’utilizzo del lavoro a termine può considerarsi legittimo solo per esigenze temporanee o eccezionali; laddove invece i contratti si susseguano per coprire posti dell’organico di diritto, si realizza una violazione della clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE, che impone agli Stati membri di prevenire e sanzionare gli abusi.

La Cassazione richiama la P.A. a un rigoroso rispetto dei principi comunitari: la reiterazione di contratti annuali non può diventare strumento strutturale di gestione del personale.
L’“elasticità” dell’organico non può tradursi in una precarizzazione permanente di una categoria che da oltre vent’anni opera nella scuola pubblica con le medesime funzioni dei colleghi di ruolo.

  • Diritto al risarcimento del danno eurounitario, determinato nei parametri dell’art. 32 L. 183/2010 (da 2,5 a 12 mensilità) o dell’art. 28 D.Lgs. 81/2015, in base alla durata e gravità della violazione.
  • Esclusa la conversione automatica del rapporto in tempo indeterminato, coerentemente con il sistema del pubblico impiego.
  • Obbligo per l’Amministrazione di bandire con regolarità i concorsi triennali previsti dalla legge 186/2003, la cui mancata attuazione costituisce presupposto di abuso.

L’ordinanza, pur riferita ai docenti di religione, rafforza un orientamento generale applicabile anche ad altre figure del precariato scolastico – insegnanti, ATA e personale educativo – quando l’Amministrazione ricorra sistematicamente a contratti a termine per coprire fabbisogni ordinari.

Il principio espresso dalla Cassazione consolida una linea interpretativa coerente con la Direttiva 1999/70/CE e con la sentenza Mascolo della Corte di Giustizia: il rapporto a termine è ammissibile solo per esigenze temporanee, non per eludere l’obbligo di stabilizzazione.

Con la decisione n. 13640/2025, la Suprema Corte segna un ulteriore passo verso il riconoscimento effettivo dei diritti dei lavoratori precari della scuola, richiamando il Ministero dell’Istruzione a una gestione del personale rispettosa del principio di non abuso e della parità di trattamento.

È una sentenza destinata ad avere notevoli riflessi nei giudizi in corso e nelle future azioni di risarcimento promosse da chi, da anni, vive una condizione di precarietà ingiustificata.