L'ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 2 marzo 2025, n. 5496 introduce una novità nella complessa questione della monetizzazione delle ferie: la prova, a carico del datore, che l'organizzazione dell'ente avrebbe potuto comunque garantire l'efficienza operativa nonostante l'eventuale fruizione del dirigente.

La Corte di Cassazione ha introdotto un'importante novità sulla monetizzazione delle ferie non godute dai dirigenti pubblici. Con l’ordinanza n. 5496 del 2 marzo 2025, ha stabilito che il datore di lavoro non può limitarsi a dimostrare di aver invitato il dirigente a fruirne, ma deve anche provare che l’organizzazione del lavoro avrebbe comunque garantito la continuità operativa durante la sua assenza.

Un principio che cambia le regole

Fino a oggi, un dirigente che non prendeva ferie, pur avendone il potere, rischiava di perderne la monetizzazione. Ora, invece, spetta al datore dimostrare non solo di averlo avvisato della possibile perdita, ma anche di aver predisposto un sistema che consentisse l’assenza senza danni per l’ente. Una prova estremamente complessa, che potrebbe ribaltare molte cause di lavoro.

Le implicazioni pratiche

Per evitare contestazioni, la pubblica amministrazione dovrà non solo sollecitare formalmente la fruizione delle ferie, ma anche dimostrare che l’organizzazione garantisce la continuità operativa in assenza del dirigente. Ciò significa adottare sistemi di sostituzione, deleghe chiare e strategie di gestione che permettano il regolare svolgimento delle attività anche senza il responsabile in carica.

In sintesi, la Cassazione pone l’accento sulla necessità di un’organizzazione efficiente, trasformando la gestione delle ferie in un elemento chiave della valutazione dirigenziale. Un cambio di prospettiva che complica la posizione dei datori pubblici, ma rafforza il diritto al riposo dei dirigenti.