Premessa
L’art. 33 – 3° comma della legge 104 del 1992 prevede testualmente: “Il lavoratore dipendente, pubblico o privato, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa, per assistere una persona con disabilità in situazione di gravità, che non sia ricoverata a tempo pieno, rispetto alla quale il lavoratore sia coniuge, parte di un'unione civile ai sensi dell'articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, convivente di fatto ai sensi dell'articolo 1, comma 36, della medesima legge, parente o affine entro il secondo grado. In caso di mancanza o decesso dei genitori o del coniuge o della parte di un'unione civile o del convivente di fatto, ovvero qualora gli stessi siano affetti da patologie invalidanti o abbiano compiuto i sessantacinque anni di età, il diritto è riconosciuto a parenti o affini entro il terzo grado della persona con disabilità in situazione di gravità. Fermo restando il limite complessivo di tre giorni, per l'assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli sopra elencati, che possono fruirne in via alternativa tra loro. Il lavoratore ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone con disabilità in situazione di gravità, a condizione che si tratti del coniuge o della parte di un'unione civile di cui all'articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, o del convivente di fatto ai sensi dell'articolo 1, comma 36, della medesima legge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con disabilità in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.”.
Un dipendente è stato licenziato perché non aveva svolto assistenza al familiare nei 3 giorni di permesso richiesto in quanto era stato fotografato al mare con il figlio per 2 giorni su 3 come era emerso da attività investigativa, peraltro mai depositata.
Il datore di lavoro ha presentato appello alla Corte di Cassazione avverso la sentenza favorevole al lavoratore della Corte d’appello di Bari del 16/07/2024.
I motivi dell’appello del datore di lavoro
Il datore di lavoro ricorre avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari per i seguenti motivi:
1° motivo – violazione dell’art. 33 – 3° comma della legge 104 del 1992 poiché non era stata presa in considerazione la mancata assistenza al familiare durante l’orario di lavoro;
2° motivo – aver imposto al datore di lavoro l’onere della prova della mancata assistenza;
3° motivo – aver escluso la giusta causa del licenziamento nel caso di assisstenza al familiare durante l’orario di lavoro;
4° motivo – aver violato lo statuto dei lavoratori.
Decisione della Corte di Cassazione
Secondo la Corte di Cassazione i 4 motivi addotti dal datore di lavoro devono essere esaminati congiuntamente e sono infondati.
Innanzi tutto l’onere della prova a fondamento del licenziamento del lavoratore per l’uso improprio o fraudolento dei permessi per l’assistenza ai familiari è a carico del datore di lavoro.
Sulla base dell’istruttoria condotta dalla Corte d’appello è emerso che il lavoratore ha dimostrato di aver fornito assistenza al familiare durante le ore notturne nelle quali era necessaria detta assistenza per ragioni mediche indicate dai testimoni.
Sul piano giuridico non è richiesto che l’assistenza debba essere necessariamente durante l’orario di lavoro in quanto trattasi di un diritto del lavoratore che non ha limitazioni temporali nella stessa legge.
Per quanto sopra evidenziato la Corte di Cassazione respinge il ricorso presentato dal datore di lavoro, confermando l’illegittimità del licenziamento del lavoratore e condanna lo stesso datore di lavoro al pagamento delle spese legali.
di Luciana Petrucci Ciashini su Amministrare la scuola n. 12










