In caso di sopravvenuta inidoneità del lavoratore alle mansioni assegnategli, non viola l'art. 41 Cost., il giudice che dichiari illegittimo il licenziamento intimato al dipendente, allorché si accerti la possibilità per il datore di lavoro di adottare soluzioni ragionevoli atte a consentire al lavoratore disabile di svolgere il lavoro.
La Cassazione nell'esaminare il ricorso, affronta compiutamente la nozione di «handicap» come sviluppatasi, in ambito internazionale, nel corso degli anni.
La Suprema Corte preliminarmente rileva che, nel caso di specie, il lavoratore è stato giudicato inidoneo a seguito di una situazione di infermità di lunga durata (broncopneumopatia cronica) tale da ostacolare la partecipazione del lavoratore alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori.
Dunque, a parere della Cassazione, sussiste il presupposto soggettivo dell'handicap" protetto dall'art. 1 della Dir. n. 78/2000/CE, sulla parità di trattamento in materia di occupazione.
La nozione di "handicap" non è ricavabile dal diritto interno ma unicamente dal diritto dell'Unione Europea (tanto da parlarsi di nozione europea di disabilità).
Il concetto di "handicap" è stato poi sviluppato nelle pronunzie rese dalla Corte di Giustizia e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 2006. La Corte di Giustizia è ormai consolidata nell'intendere la nozione di "handicap" come: «una limitazione, risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature, che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione dell'interessato alla vita professionale su base di uguaglianza con altri lavoratori» (sent. 11 aprile 2013, HK Danmark, C-335/11 e C- 337/11).
Inoltre, l'art. 5 della citata direttiva impone al datore di lavoro di adottare «i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato».
La Cassazione evidenzia, poi, come lo Stato italiano per lungo tempo abbia omesso di dare attuazione alle disposizioni del citato articolo 5, dandovi esecuzione solo nel 2013, con la l. n. 99/2013. E pur se i fatti che hanno dato origine al giudizio sottoposto al suo esame risalgono al 2007 - dunque a prima dell'adozione della norma di recepimento - ciò che rileva è l'obbligo per il giudice nazionale di offrire una interpretazione del diritto interno conforme agli obiettivi della direttiva anche prima della sua attuazione. Ed invero, la Cassazione, anche prima del recepimento da parte del legislatore nazionale, aveva rilevato che, non viola l'art. Cost. il giudice che dichiari illegittimo il licenziamento intimato per sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore alle mansioni assegnate allorché il datore di lavoro non abbia previamente accertato la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse e di pari livello attraverso i necessari adattamenti organizzativi, senza pregiudizio per gli altri lavoratori ed evitando alterazioni dell'organigramma aziendale (Cass. 13 ottobre 2009, n. 21710).
Applicando tutti i principi su esposti al caso di specie, a parere della Cassazione, correttamente la Corte di appello ha confermato l'illegittimità del licenziamento intimato al dipendente per sopravvenuta inidoneità fisica in ragione della possibilità per il datore di lavoro di adottare soluzioni ragionevoli atte a consentire al lavoratore, persona disabile secondo la direttiva, di svolgere il lavoro.
Cassazione civile, sez. lav. 19 marzo 2018, n. 6798