L’invio delle denuncia unificata deve avvenire entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello in cui è scaduto il periodo di paga il corrispettivo della prestazione. Nel caso in cui il giorno di scadenza coincida con un giorno festivo, la presentazione del flusso retributivo viene posticipata al primo giorno lavorativo successivo. Come per il flusso Emens, anche per l’Uniemens la trasmissione avviene accedendo al sito Internet dell’INPS con lo Spid. Nell’area dei servizi on-line dell’Inps per aziende, consulenti e professionisti è attiva invece la funzione che consente l’invio dei file e la gestione dei flussi e delle ricevute. L’invio del flusso può essere effettuato direttamente dal datore di lavoro ovvero per il tramite di uno dei soggetti specificatamente individuati dal legislatore (CAF, commercialisti, ragionieri, consulenti del lavoro, associazioni sindacali di categoria, etc). I soggetti tenuti all’invio telematico dell’Uniemens sono tra gli altri i committenti per i lavoratori autonomi occasionali, se iscritti alla Gestione Separata INPS. 

Sanzione 

L’omissione, l’infedeltà delle denunce obbligatorie e la loro tardiva presentazione configurano la fattispecie dell’evasione di cui all’art.116, c.8, lettera b), della legge 23 dicembre 2000, n. 388. Istruzioni nella circolare INPS n.106 del 2017. Con particolare riguardo agli effetti dell’omessa presentazione delle denunce mensili e/o periodiche ai fini della definizione della misura sanzionatoria da applicare, alla sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, n. 28966/11, con la quale il Giudice di legittimità ha operato una ricostruzione del quadro normativo definito dalla legge n. 388/2000, ha fatto seguito il formarsi di un conforme orientamento giurisprudenziale in base al quale risulta che tale fattispecie continua a restare assoggettata all’applicazione delle sanzioni civili nella misura dell’evasione. 

In ordine all’atteggiarsi dell’intento fraudolento, determinante alla stregua della disciplina in oggetto per la configurabilità dell’evasione, spiega l’INPS, successiva giurisprudenza di legittimità ha affermato testualmente che “l’omessa o infedele denuncia fa presumere l’esistenza della volontà datoriale di occultare i dati allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti, salvo prova contraria del soggetto obbligato”. In termini pratici, l’ormai consolidata giurisprudenza della Suprema Corte si è espressa nel senso di ritenere che nelle ipotesi di omessa o infedele denuncia si è sempre in presenza di una fattispecie di evasione, tranne nel caso in cui il datore di lavoro fornisca una prova idonea ad escludere l’intento fraudolento, con conseguente venire ad esistenza della diversa e più tenue fattispecie dell’omissione. 

Ne consegue che spetta al giudice di merito “la verifica della sussistenza o meno dell’intento fraudolento” che “costituisce un tipico accertamento di fatto (...) censurabile nei limiti del vizio. 

La perenzione va tenuta distinta dalla prescrizione. La perenzione non comporta la perdita deldiritto di credito in capo al creditore.
Con la cancellazione dalle scritture contabili di un residuo passivo, il creditore conserva il diritto ad avanzare richiesta di pagamento dell’importo dovutogli.
La richiesta del creditore determina la reiscrizione in bilancio del suo credito con conseguente riassegnazione del relativo impegno di spesa ai pertinenti capitoli degli esercizi finanziari successivi.

La prescrizione comporta l’estinzione del diritto per inerzia del titolare, cioè il mancato eserciziodel diritto di credito entro i termini stabiliti dalla legge. Di conseguenza un debito caduto inprescrizione non può più essere pagato, neanche su richiesta del creditore.Si hanno varie specie di prescrizioni:
● prescrizione ordinaria; si compie con il decorsodi 10 anni;
● prescrizione breve, cioè diritti che si prescrivono in un termine più breve di quello ordinario.Quali:

○ si prescrive in cinque anni dal giorno incui il fatto si è verificato, il diritto al risarcimentodanni derivante da fatto illecito;
○ si prescrive in due anni il diritto al risarcimentodal danno prodotto dalla circolazionedei veicoli;
○ si prescrivono in un anno i diritti derivantida contratto di spedizione e trasporto;.

Nel caso in cui ci sia da coprire un disavanzo di competenza è necessario fare riferimento al Regolamento di Contabilità D.L. 129/2018. Per quanto riguarda, in particolare, il disavanzo di competenza, si precisa quanto segue:
Il conto finanziario Modello H, che, unitamente al modello K, conto del patrimonio, costituisce il conto consuntivo, è il prospetto che riepiloga i dati contabili delle entrate e delle spese, rilevando così lo stato di attuazione del Programma annuale della Scuola nel relativo esercizio finanziario in conto competenza.
Le entrate rilevate sono quelle accertate, riscosse e rimaste da riscuotere; le spese rilevate sono quelle impegnate, pagate e rimaste da pagare.
Le entrate rimaste da riscuotere e le spese rimaste da pagare rappresentano rispettivamente i residui attivi e i residui passivi.
Confrontando il totale delle entrate accertate con il totale delle spese impegnate si ottiene l’avanzo, il pareggio o il disavanzo di competenza, a seconda che l’importo delle entrate sia maggiore, uguale o minore di quello delle spese.
Questo dato è di basilare importanza anche per la stesura del Programma annuale.
L’avanzo o il disavanzo di competenza viene ad essere calcolato con i soli dati tratti dal Modello H del conto finanziario, ed evidenzia la misura dei criteri di gestione dei fondi assegnati ad ogni singola Istituzione.
Se viene rilevato un disavanzo di competenza, in buona sostanza, significa che è stato impegnato più di quanto accertato nell’esercizio finanziario di riferimento. Ossia che la scuola è dotata di un avanzo di amministrazione che ha consentito di impegnare somme utilizzando parte dell’avanzo di amministrazione.
Quindi può accadere di avere nelle risultanze contabili un disavanzo di competenza, anzi, rappresenta un segnale di buona gestione finanziaria, preso atto che la scuola ha utilizzato in questo caso una parte di avanzo di amministrazione. Infatti, un notevole avanzo di amministrazione è segnale di una non ottimale gestione delle risorse a disposizione della scuola.
È amministrativamente e contabilmente rilevante, invece, l’avanzo di amministrazione da quantificare al termine dell’esercizio finanziario di riferimento, al fine della sua utilizzazione nel programma annuale del successivo esercizio finanziario. E, comunque, la prescrizione è quella di avere, a fine esercizio, un avanzo di amministrazione, e non invece un eventuale disavanzo del medesimo.
Ai sensi dell’art. 7 del D.I. 129/2018 citato, si evidenzia, infatti, in particolare:
1. Nel programma annuale è iscritta come posta a sé stante, rispettivamente dell'entrata e della spesa in termini di competenza, l'avanzo o il disavanzo di amministrazione presunto al 31 dicembre dell'esercizio precedente cui il bilancio si riferisce.
2. Al programma annuale è allegata una tabella dimostrativa del predetto avanzo di amministrazione presunto e un prospetto nel quale sono indicati i singoli stanziamenti di spesa correlati all'utilizzazione dell'avanzo. Detti stanziamenti possono essere impegnati solo dopo la realizzazione dell'effettiva disponibilità finanziaria e nei limiti dell'avanzo effettivamente realizzato.
3. Nella formulazione del programma annuale deve tenersi conto del disavanzo di amministrazione presunto al fine del suo assorbimento. Il Consiglio d'istituto, nella deliberazione del programma annuale, deve illustrare i criteri adottati per pervenire all'assorbimento dello stesso disavanzo di amministrazione.
È quindi rilevante quanto declinato all’interno del comma 3 del citato art. 7. Non è ammesso un “disavanzo di amministrazione” e, se questo si verifica, è obbligatorio un piano di rientro che preveda di colmare al più presto tale negatività.

L'Albo è il luogo dove devono trovare pubblicazione gli atti per i quali la legge impone la pubblicazione, in quanto debbono essere portati a conoscenza del pubblico, come condizione necessaria per acquisire efficacia e, quindi, produrre gli effetti previsti.
Lo scopo della pubblicazione in albo on line è quello di portare a conoscenza degli interessati il contenuto degli atti e nel contempo fare assumere agli atti stessi  il  carattere della definitività  secondo quanto stabilito dall’ art.14 del DPR n.275/99: “Gli atti divengono definitivi dopo il 15° giorno dalla loro pubblicazione all'albo della scuola”. 
Da tale principio scaturisce l'obbligo per le istituzioni scolastiche di pubblicare all'albo tutti i provvedimenti adottati. La pubblicazione è, infatti, un requisito di efficacia degli atti.
Amministrazione trasparente di cui al D.Lgs. n. 33/2013, è, invece, una sezione del web, in cui devono trovare pubblicazione tutti i documenti, avvisi e comunicati che per ragioni di trasparenza devono essere portati a conoscenza dei cittadini.
La pubblicità e diffusione delle informazio­ni da parte delle pubbliche amministrazioni  ha come obiettivo quello di rafforzare lo strumento della trasparenza, che rappresenta una misura fondamentale per la prevenzione della corruzione. Gli obblighi di pubblicazione sono rafforzati da un articolato sistema sanzionatorio che riguarda i singoli funzionari pubblici.
Tuttavia, bisogna tenere presente che, una cosa sono le comunicazioni che la scuola può fare per soddisfare l’esigenza della trasparenza, altra cosa sono le comunicazioni che assumono valore di pubblicità legale.
L’omissione delle comunicazioni finalizzate alla trasparenza può comportare l’applicazione di sanzioni a carico dei singoli funzionari.
L'attuazione della trasparenza rappresenta  infatti, un'opportunità per i pubblici funzionari  in quanto consente di evidenziare il corretto agire amministrativo alimentando per tal via la fiducia dei cittadini nell’amministrazione.  Mentre l’omissione delle pubblicazioni degli atti per i quali la pubblicità è parte integrate dell’efficacia degli stessi li rende giuridicamente inefficaci.
Quindi una particolare cura va apprestata alla tenuta dell'albo e all'attività di pubblicazione degli atti e delle deliberazioni che devono essere portati a conoscenza del pubblico.
La pubblicazione, infatti, rileva in merito all’individuazione del termine per l’impugnazione, il quale viene fatto decorrere, per i soggetti non direttamente contemplati nell’atto, proprio dalla data di pubblicazione nell’albo.

Premessa

Non è infrequente che nella scuola siano accolti alunni autistici o con disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), che possono occasionalmente reagire ad alcuni stimoli (forti rumori, tono dell’eloquio alto, contatti fisici) con modalità aggressive eterodirette; come pure alunni affetti da disturbi del comportamento dirompente, come ad esempio il disturbo oppositivo provocatorio o il disturbo esplosivo intermittente.

In tali circostanze può accadere che il docente di sostegno divenga talora oggetto di gesti violenti da parte dell’allievo.

Si pone quindi il tema del debito di garanzia da parte del datore di lavoro (nella fattispecie il dirigente scolastico) nei confronti del personale docente, da inquadrarsi all’interno della questione del possibile conflitto tra diritto alla sicurezza del lavoratore e diritto all’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, entrambi costituzionalmente protetti, rispettivamente dall’art. 35 e dall’art. 38 Cost.

A livello normativo i precetti costituzionali trovano regolazione, rispettivamente, nella L. 104/1992 e nel D.Lgs. 81/2008.

La posizione di garanzia del dirigente scolastico

Il dirigente scolastico, ai fini della legislazione antinfortunistica, è considerato datore di lavoro e pertanto su di lui incombe l’obbligo di protezione dei lavoratori. Conseguentemente gli competono, innanzitutto, l’attività di valutazione dei rischi e l’individuazione delle misure atte a rimuoverli o ridurli, oltre ad altre incombenze, tra le quali gli obblighi di informazione e formazione dei lavoratori, quella di fornire i dispositivi di protezione e vigilare sul rispetto dell’attuazione delle misure previste.

Tra i principali doveri cautelari vi è quello relativo alla formazione sulla sicurezza: tutti i lavoratori della scuola devono frequentare corsi di sicurezza generale della durata di 4 ore. Cui si aggiunge un corso di sicurezza specifica della durata variabile in base al rischio.

L’accordo Stato Regioni del 2011, ai sensi del D.Lgs 81/2008, considera esplicitamente la scuola come un ambito a rischio medio per cui il corso di sicurezza specifica dura 8 ore per un totale di 12 ore (sicurezza generale più sicurezza specifica).

Anche i lavoratori sono peraltro destinatari di specifici obblighi di sicurezza: osservare le disposizioni impartite, utilizzare i dispositivi di protezione, partecipare ai programmi di formazione.

Il debito di protezione datoriale discende, innanzitutto, dall’art. 2087[1] C.C. e dalle disposizioni contenute nel D.Lgs. 81/2008 e la responsabilità conseguente alla violazione delle regole dettate in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro ha natura contrattuale; cosicché, stante il regime probatorio previsto dall’art. 1218 C.C., il lavoratore che agisce contro il proprio datore di lavoro deve allegare e provare il rapporto lavorativo, l'attività svolta, l'evento dannoso e le conseguenze che ne sono derivate, senza necessità di individuare le regole violate, né le misure cautelari adottabili da parte del datore di lavoro, sul quale, invece, grava l'onere di provare di aver ottemperato all'obbligo di protezione e, quindi, che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile perché prodottosi nonostante egli abbia adempiuto ai suoi obblighi apprestando tutte le misure utili ad evitarlo.

Va inoltre precisato che gli insegnanti sono coperti dall’assicurazione obbligatoria Inail se per lo svolgimento della loro attività, fanno uso di macchine elettriche come, ad esempio, videoterminali, computer, fotocopiatrici, videoregistratori, proiettori, registro elettronico, Lim, ovvero se frequentano un ambiente organizzato ove sono presenti le suddette macchine. Come pure nel caso siano direttamente adibiti alle seguenti attività: esercitazioni pratiche; esperienze tecnico-scientifiche; esercitazioni di lavoro.

Con specifico riferimento alla figura del docente di sostegno, la circolare Inail n. 28 del 23.04.2003 precisa che «Tra le attività protette rientra anche l’attività di sostegno, che si configura come teorico-pratica, di assistenza, comprendente esercitazioni pedagogiche e pratiche svolte nei diversi momenti della giornata. Del resto l’attività dell’insegnante di sostegno, come delineata dall’art. 13 commi 5 e 6 della legge 104/1992, comporta un rischio legato non solo alle modalità di svolgimento dell’insegnamento, ma anche alle condizioni psico-fisiche dell’alunno affidato alle cure dell’insegnante di sostegno».

La struttura della colpa

Sia in ambito civilistico che penalistico (per l’ipotesi in cui siano integrati i reati di lesioni colpose o di omicidio colposo), il presupposto della responsabilità antinfortunistica è la colpa.

La nozione di colpa si rinviene nell’art. 43 C.P. e consiste nella produzione di un evento a causa del comportamento, attivo od omissivo, caratterizzato da negligenza, imprudenza, imperizia o dell'inosservanza di regole giuridiche.

Il primo elemento costitutivo della colpa è dato, dunque, dalla non volontà dell’evento; mentre il secondo elemento è costituito dalla violazione di regole precauzionali di condotta, le quali possono avere una fonte sociale o giuridica.

La dottrina attribuisce alla colpa una doppia funzione: in un primo momento essa contribuisce all'individuazione della tipicità del fatto oggettivo (quindi all’individuazione della regola di condotta che imponeva o vietava un certo comportamento); in un secondo momento, definita la condotta tipica, la colpa implica l'esame in ordine alla rimproverabilità soggettiva dell'agente concreto in una determinata situazione.

Il fondamento della responsabilità è individuato nella prevedibilità dell'evento dannoso, da effettuarsi al momento in cui la condotta è stata posta in essere ed in base al parametro dell'homo eiusdem condicionis et professionis, ossia dell’”agente modello” che svolge una determinata attività, la quale esige che l'operatore si adegui al livello di specializzazioni e conoscenze raggiunte nel settore.

Un secondo aspetto, in sede di responsabilità penale, è dato dalla rimproverabilità, nel senso che si addebita al soggetto agente di non aver adeguato il proprio comportamento a standard di diligenza concretamente esigibili.

In tema di infortuni sul lavoro, costituisce affermazione giurisprudenziale costante che l'imprenditore ha l'obbligo di adottare non soltanto le misure di prevenzione specificamente previste dalle norme in materia antinfortunistica, ma, altresì, di osservare i precetti generali, che impongono di esplicare l'attività produttiva in modo che non derivino conseguenze dannose ad altri, nonché di adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica dei prestatori di lavoro, ai sensi dell'art. 2087 c.c.

In tema di responsabilità civile, invece, «la valutazione della colpa deve essere effettuata alla stregua non già del canone penalistico, imperniato sulla dimensione soggettiva di rimproverabilità della condotta (coerente con il principio di colpevolezza di cui all'art. 27 Cost.), bensì di quello civilistico "oggettivato", riferito, in caso di colpa generica, a un modello standard di comportamento, enucleato dal criterio della diligenza ex art. 1176 c.c.» (Cass. civ. n. 23739/2023).

Vi è una autonomia della nozione di colpa civile rispetto a quella penale, posto che in quest’ultima rimane centrale il principio di "colpevolezza", che si rinviene nell'art. 27 Cost. e che accentua il profilo di rimproverabilità della colpa come elemento soggettivo della condotta, mentre in ambito civilistico mutano i profili funzionali, alla luce del combinato disposto di cui all'art. 1176 c.c., commi 1 e 2 e art. 1218 c.c., con accentuazione del rilievo annesso al modello standard di comportamento.

Dunque, la colpa civile consiste in un comportamento cosciente dell'agente che, senza volontà di arrecare danno ad altri, sia causa di un evento lesivo in ragione della deviazione da una regola di condotta, che può essere dettata da una norma di legge, di regolamento o pattizia (c.d. colpa specifica) ovvero dalla comune prudenza (c.d. colpa generica).

Nel secondo caso, l'accertamento della colpa esige l'individuazione del contenuto e della portata della regola cautelare di condotta cui conformarsi, in funzione, precipua, del c.d. "agente modello", in grado di svolgere al meglio, anche in base all'esperienza collettiva, il compito assunto (evitando i rischi prevedibili e le conseguenze evitabili); modello standard la cui perimetrazione va, dunque, compiuta in base ai criteri della diligenza dettati dall'art. 1176 c.c., quale disposizione che trova applicazione anche alle obbligazioni da fatto illecito. Ciò implica, pertanto, la definizione dell'evento lesivo nei suoi termini essenziali e la verifica, quindi, se esso, ex ante, nelle circostanze date, fosse prevedibile ed evitabile dall'agente modello mediante il rispetto della regola cautelare.

L’ineliminabilità del rischio

Per quanto il precetto contenuto nell’art. 2087 C.C. non sia specificato e pertanto la giurisprudenza qualifichi la norma come “in bianco”, essendo soggetta ad un costante rinnovamento, alla luce dei continui aggiornamenti della scienza e della tecnica, essa non dà luogo ad una responsabilità oggettiva, in quanto, per affermare la responsabilità, occorre che siano violati gli obblighi di comportamento suggeriti dalle conoscenze sperimentali e tecniche del momento.

Corollario di ciò è anche il fatto che l’obbligo di sicurezza gravante sul datore di lavoro va parametrato alla particolarità del lavoro ed alla natura dell'ambiente e dei luoghi in cui detto lavoro deve svolgersi.

Ad esempio, in tema di lavoro sportivo agonistico, Cass. civ., sez.lav., 8297/2015 ha precisato che determinati lavori comportano per loro natura dei rischi per la salute del lavoratore, tenuto conto della pericolosità insita nel suo svolgimento e dei rischi ineliminabili, in tutto o in parte, da parte del datore di lavoro rispetto alla possibilità dell'atleta di subire un infortunio nel corso della prestazione lavorativa. «Rispetto a detti lavori — importanti una necessaria accettazione del rischio alla salute del lavoratore, legittimata sulla base del principio del bilanciamento degli interessi — non risulta, pertanto, configurabile una responsabilità ex art. 2087 c.c. del datore di lavoro, se non nel caso che detto imprenditore con comportamenti specifici, da provarsi di volta in volta da colui che assume di essere danneggiato, determini un aggravamento di quel tasso di rischio e di pericolosità ricollegato indefettibilmente alla natura dell'attività che il lavoratore è chiamato a svolgere».

Detto principio è stato ripreso dalla Suprema Corte sia nel 2020 che nel 2021, relativamente alle mansioni di cantoniere, ribadendo il principio secondo cui gli obblighi di sicurezza datoriali «oltre a dover essere rapportati alle concrete possibilità della tecnica e dell'esperienza, vanno parametrati alle specificità del lavoro e alla natura dell'ambiente e dei luoghi in cui il lavoro deve svolgersi, particolarmente quando vengono in questione attività che per loro intrinseche caratteristiche (svolgimento all'aperto, in ambienti sotterranei, in gallerie, in miniera, ecc.) comportano dei rischi per la salute del lavoratore (collegati alle intemperie, all'umidità degli ambienti, alla loro temperatura, ecc.), ineliminabili, in tutto o in parte”» (Cass., sez. lav., 1509/2021); con la conseguenza che la responsabilità è configurabile solo nel caso in cui il datore di lavoro, con comportamenti specifici ed anomali, determini un aggravamento del tasso di rischio e di pericolosità ricollegato indefettibilmente alla natura dell'attività che il lavoratore è chiamato a svolgere.

Il Tribunale di Gorizia, sostanzialmente, applica tali principi al caso dell’attività dell’insegnante di sostegno, affermando che il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio occorso al dipendente se inadempiente all’obbligo di adottare le misure cautelari, che però devono essere «concretamente individuabili, nonchè esigibili ex ante ed idonee ad impedire il verificarsi dell’evento dannoso, ciò che evidentemente postula la prevedibilità del rischio» e peraltro «non è dato comprendere che tipo di iniziativa di sua competenza avrebbe potuto assumere il MIM per prevenire i rischi derivanti da un gesto della bambina, salvo immaginare, in astratto, il ricorso a modalità di sua coercizione ed immobilizzazione totale, che sono da ritenersi vietate e non ipotizzabili. Del resto neppure è ammissibile nel nostro ordinamento scolastico l’ipotesi dell’allontanamento dell’alunno disabile in strutture esterne, soprattutto nel periodo di scolarizzazione».

Conclude quindi rilevando che, anche in considerazione del gesto repentino ed improvviso, la condotta della minore non era prevedibile.

Ma la parte più interessante della sentenza è quella finale, che di seguito si riporta: «Infine, è proprio la stessa difesa della ricorrente a suggerire la mancanza di responsabilità della scuola. Ipotizzando, come fa la ricorrente, che “la vicenda riguarda esattamente profili comportamentali, da trattare non sul piano didattico ma sotto il profilo sanitario da parte di personale specializzato”, è consequenziale l’osservazione che davvero non è dato comprendere che spazio d’intervento potesse avere la scuola. E’ senz’altro da escludere che questa si possa sostituire al personale sanitario in termini correttivi e, in generale, che possa adottate soluzioni esorbitanti dallo spettro didattico, da intendersi comprensivo dell’insegnamento in senso stretto e dei profili comportamentali da tenere all'interno dell’istituto. Il tutto conferma che la scuola non avrebbe potuto adottare alcuna misura concreta per prevenire l’evento, dovendosi ribadire che le misure coercitive o l’allontanamento dalla scuola non hanno cittadinanza».

Adempimenti necessari in caso di alunno notoriamente problematico

Si deve concludere, tuttavia, con una nota di prudenza in tutti i casi in cui, diversamente da quello esaminato dal Tribunale di Gorizia, ove si dava atto che il comportamento dell’allieva non era stato preceduto da comportamenti in grado di rendere prevedibile il gesto aggressivo, gli studenti hanno, invece, crisi comportamentali ricorrenti ed i comportamenti etero aggressivi siano quindi prevedibili.

In tali circostanze è opportuno che il dirigente scolastico sia in grado di dimostrare di aver adottato tutte le misure utili, nell’ambito di quelle astrattamente possibili, per ridurre il rischio di infortunio.

Si può quindi suggerire di:

  • dedicare una specifica sezione del DVR ai rischi derivanti dai comportamenti “anomali” di alcuni studenti affetti da particolari disturbi;
  • assegnare all’alunno/a che presenta queste problematiche un docente in possesso della specializzazione sul sostegno, evitando per quanto possibile di ricorrere a personale non specializzato;
  • predisporre un piano di gestione delle crisi comportamentali, come parte integrante del PEI;
  • organizzare con i medici della Neuropsichiatria infantile che hanno in carico l’alunno/a un momento formativo rivolto al personale;
  • effettuare almeno una riunione del GLO volta a sensibilizzare la famiglia a dare puntuale attuazione al percorso terapeutico/farmacologico eventualmente previsto, potendosi ipotizzare una segnalazione ai servizi sociali in caso inadempimento.

[1] 2087 c.c.: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.”

Commento a sent. n. 172/2023 del Tribunale di Gorizia

di Gianluca Dradi