Dopo mesi di attesa, il nuovo contratto del comparto Istruzione e Ricerca è finalmente realtà. A partire dal 1° gennaio 2024, insegnanti e personale ATA vedranno riconosciuti aumenti retributivi che, pur variando a seconda del ruolo e dell’anzianità di servizio, rappresentano un segnale concreto di attenzione verso il mondo della scuola, spesso rimasto ai margini dei rinnovi più consistenti del pubblico impiego.
Per i docenti, l’aumento mensile lordo oscilla tra i 110 e i 185 euro, con valori che crescono in base agli anni di servizio e al grado di scuola. Si parte dai 110,12 euro per gli insegnanti della scuola dell’infanzia e primaria nella fascia iniziale (0-8 anni), fino ad arrivare ai 185,31 euro per i docenti laureati della scuola secondaria di secondo grado con oltre 35 anni di servizio. Nel mezzo, diverse sfumature: per esempio, i docenti delle scuole medie con pochi anni di anzianità avranno un incremento di circa 119 euro mensili, mentre chi insegna da oltre vent’anni potrà superare i 160 euro.
Oltre agli aumenti stabili, è previsto anche un emolumento una tantum pari a 111,70 euro lordi, destinato a tutto il personale docente – sia a tempo indeterminato sia con contratto annuale – in servizio nell’anno scolastico 2023/2024. Si tratta di un piccolo riconoscimento aggiuntivo che accompagna il nuovo trattamento economico e che andrà a sommarsi agli arretrati maturati nei mesi precedenti.
Ma il rinnovo non riguarda solo chi insegna. Il contratto interessa anche il vasto universo del personale ATA, l’ossatura organizzativa e amministrativa di ogni istituto scolastico. Qui gli aumenti risultano diversificati e proporzionati alle responsabilità dei vari profili: si parte dagli 85,74 euro lordi al mese dei collaboratori scolastici, per arrivare fino ai 194 euro riconosciuti ai Direttori dei Servizi Generali e Amministrativi (DSGA).
Le nuove tabelle retributive indicano un sensibile miglioramento delle cifre annue. I collaboratori scolastici potranno percepire tra i 17.400 e i 22.500 euro l’anno, a seconda dell’anzianità. Per gli operatori scolastici, gli importi oscillano tra 17.800 e 23.000 euro, mentre assistenti amministrativi e tecnici si muovono in una forbice che va da circa 19.400 a oltre 26.000 euro. Per i funzionari e le elevate qualificazioni – figure apicali dell’area ATA – le retribuzioni annuali salgono fino a quasi 40.000 euro, riconoscendo finalmente il peso gestionale e tecnico di queste posizioni.
Anche per il personale ATA è previsto un bonus una tantum, pari a 270,70 euro lordi, destinato a chi è in servizio a tempo indeterminato o con incarico annuale fino al termine delle attività didattiche. Una cifra che, pur non rivoluzionando le buste paga, testimonia la volontà di estendere il riconoscimento economico a tutte le categorie che garantiscono ogni giorno il funzionamento delle scuole.
Nel complesso, si tratta di un rinnovo contrattuale che, sebbene non cambi radicalmente le condizioni di vita del personale scolastico, rappresenta un passo avanti. È un segnale di attenzione che arriva dopo anni di stagnazione salariale e di promesse disattese. Tuttavia, resta inevitabile una riflessione più ampia: anche con questi incrementi, gli stipendi di docenti e ATA italiani restano fra i più bassi d’Europa, specialmente se rapportati al costo della vita e all’impegno professionale richiesto.
Il valore simbolico di questo contratto, dunque, va oltre le cifre: è un riconoscimento del ruolo essenziale che la scuola riveste nella società e della necessità di restituire dignità economica a chi vi lavora. Un atto che, per quanto tardivo, segna un tentativo di colmare almeno in parte il divario storico tra il valore del lavoro educativo e la sua retribuzione reale.
Gli aumenti in busta paga saranno visibili già nei prossimi mesi, insieme agli arretrati dovuti. E per molti insegnanti e operatori scolastici rappresenteranno una piccola ma concreta boccata d’ossigeno, in un periodo in cui la scuola italiana continua a chiedere molto ai suoi lavoratori, offrendo in cambio sempre meno certezze.









