Senteza di primo grado al Tribunale di Pescara contro un istituto scolastico condannato al risarcimento della vittima con 60.000 euro per atti di bullismo perpetrati nel corso degli anni scolastici 2013-2014 e 2014 - 2015. La bambina all'epoca dodicenne, venne costretta a numerose vessazioni e insulti riguardo il suo aspetto fisico e volgarità contro sua madre. Vennero inoltre divulgate alcune fotografie che la ritraevano in atteggiamenti intimi, obbligati dallo stesso all'interno dei bagni della scuola.
La famiglia, a distanza di tempo, fa causa alla scuola in quanto ritenuta la reponsabile per non aver tutelato l'alunna e non aver vigilato agendo tramite provvedimenti adeguati. Ciò ha portato l'ormai giovane ventitreenne ad affrontare un lungo percorso psicologico per cancellare il trauma della sua infanzia: "la ragazza era affetta da disturbo di personalità evitante, a seguito di un disturbo post traumatico da stress temporaneo accaduto in età pre-adolescenziale, e che detta patologia psichica era compatibile, anche in base a criteri cronologici, quantitativi ed inidoneità lesiva, con i ripetuti e intensi episodi di bullismo subiti".
La sentenza oggi rappresenta un grande passo in avanti nella responsabilizzazione della scuola di fronte ad un fenomeno ancora così sovente ed esteso, spesso tra giovani: su un campione di studenti dai 14 ai 26 anni, il 70% ritiene che non si agisca abbastanza in contrasto; 6 su 10 hanno assistito ad atti di bullismo e cyberbullismo; il 50% ne è stato vittima.
Il fatto
I genitori di un'alunna di scuola secondaria di primo grado, convenivano in giudizio ai sensi degli artt. 1218 e 2048 al risarcimento dei danni patrimoniali e non da essi subiti in conseguenza degli atti di bullismo perpetrati nel corso dgli anni scolastici 2013-2014 e 2014 - 2015 a danno della minore da parte di un compagno di classe durante l'orario scolastico.
Aggiungevano che detti episodi continuavano a ripetersi nel corso dei mesi e al comportamento vessatorio del ragazzo si accompagnavano le prese in giro degli altri compagni. L'alunno venne espulso per una settimana da scuola, ma la ragazza, non repuntando questa decisione sufficientemente adeguata, si trasferì in altra scuola, perdendo l'anno scolastico. Successivamente cominciava ad accusare disturbi psichici e a perdere peso, accompagnati da stati di ansia e frustrazione fino ad arrivare alla diagnosi da parte di un'unità operativa di neuropsichiatria infantile di Pescara in data 23.07.2015: patologia psico fisica, “un quadro di personalità fortemente compatibile con una situazione di abuso sessuale e psicologico”.
L'istituto si difendeva sostenendo di aver sempre vigilato sul rispetto delle regole scolastiche da parte degli studenti, di aver preso provvedimenti sul ragazzo in questione e insisteva per il rigetto della domanda.
La decisione
La Corte d'Appello di L'Aquila, prima di entrare nel merito della questione ha ritenuto necessaria una puntualizzazione in merito alla disciplina applicabile al caso di specie.
In particolare, ha precisato che la disciplina più idonea è quella di cui all'art.2048 c.c. e che la "configurabilità della responsabilità extracontrattuale degli insegnanti ex art. 2048 c.c. postula che l'allievo sottoposto al controllo e alla vigilanza dell'insegnante abbia posto in essere nei confronti di un altro alunno o di terzi un fatto illecito del quale l'istituto scolastico risponde salvo prova liberatoria", richiamando a tal proposito anche il principio della Suprema Corte di Cassazione espresso nella Sentenza n.23202/2015, secondo il quale "incombe sull'amministrazione scolastica il dovere di rispondere del fatto illecito commesso dagli allievi minori sottoposti alla sua vigilanza. La scuola, peraltro, ai sensi del comma 3 dell'art. 2048 del c.c., si può liberare di tale responsabilità soltanto fornendo la prova di non aver potuto impedire il fatto, con la conseguenza che, sulla stessa, grava, quindi, una responsabilità aggravata" .
Conseguenze
Ciò premesso, la Corte d'Appello del Capoluogo abruzzese ha ritenuto di non poter condividere le doglianze avanzate da parte appellante in merito all'accertamento dei fatti dal momento che nulla possa far dubitare della credibilità dei testimoni e delle loro dichiarazioni.All'esito del giudizio d'Appello, la Corte ha ritenuto il ricorso infondato confermando la decisione del Tribunale di Pescara e condannando parte appellante a rifondere agli appellati le spese di giudizio ed il pagamento del contributo unificato.
La Corte d’Appello, definitivamente pronunciando, così provvede: 1) respinge l’appello; 2) condanna l’appellante a rifondere agli appellati le spese del grado, che liquida in € 14.317,00, oltre 15% rimborso spese generali, iva e cpa come per legge, per compenso; 3) dichiara che la parte appellante è tenuta al pagamento di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello già dovuto per l’impugnazione.