La falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in Ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli presenza, integra il reato di truffa aggravata ove il soggetto si allontani senza far risultare i periodi di assenza che rilevano di per sé, anche a prescindere dal danno economico cagionato all'ente truffato in quanto detta condotta incide sull'organizzazione dell'ente stesso modificando arbitrariamente gli orari prestabiliti di presenza in ufficio e lede gravemente il rapporto fiduciario che intercorre tra l'ente e il dipendente.

Nella fattispecie il ricorrente dipendente comunale ha proposto ricorso avverso il licenziamento disciplinare intimato per falsa attestazione della presenza in servizio argomentando tra i motivi del ricorso la violazione dell'art. 55 co. 3 del Dlgs 165/2001 in ordine alla mancata affissione del Codice Disciplinare con conseguente violazione dell'art. 7 dello Statuto dei Lavoratori.

Il Comune ha controdedotto che il documento era stato consegnato alla dipendente al momento della assunzione e che comunque erano da sempre affissi in apposita bacheca e pubblicati sul sito istituzionale dell'ente.

Il giudice evidenzia che l'obbligo di affissione riguarda le regole di condotta funzionali alla migliore esecuzione del lavoro e non già agli obblighi di legge e al cosiddetto minimo etico così come sostenuto dalla Cassazione con sentenza n. 54/2017.

La stessa Cassazione ha stabilito che il regolamento dev'essere quanto più possibile preciso, sottolineando che laddove risulti generico e non indica chiaramente infrazioni e sanzioni correlate, gli eventuali provvedimenti disciplinari sono affetti da nullità.

In merito in più pronunce ha escluso che la trasmissione del codice possa avvenire con comunicazione individuale al lavoratore o comunque con forme diverse dall'affissione, parimenti inidoneo è l'avviso riportato in bacheca della possibilità di consultazione presso apposito ufficio perché l'affissione dev'essere realizzata in un locale accessibile con facilità da tutti i dipendenti e dev'essere affisso prima che si realizzi l'infrazione, l'onere della prova circa la corretta affissione resta in capo al datore di lavoro.

Il Tribunale nel caso in esame ravvisa l'adempimento dell'obbligo di affissione ed evidenzia, inoltre, che la mancata o inesatta attestazione di presenza costituisce un comportamento scorretto a prescindere dalla codificazione in apposito codice e in quanto tale passibile di sanzione.

I motivi licenziamento erano le reiterate violazioni dell'obbligo di timbratura e i ritardi cumulati e le frequenti assenze. Circa le omesse timbrature, la ricorrente ammetteva esservi incorsa per ragioni di malfunzionamento del badge rilevatore e di avervi ovviato con la firma di appositi fogli di presenza risultati contenere dati non veritieri e smentite dalle testimonianze dei colleghi.

La Cassazione in proposito si è espressa sostenendo che nell'impiego pubblico contrattualizzato costituisce illecito valutabile disciplinarmente l'allontanamento non autorizzato dal posto di lavoro. Inoltre tra le ragioni del licenziamento disciplinare rientra non solo la ipotesi di assenza ingiustificata di cui all'art. 55 quater del Dlgs 165/2001, data dall'alterazione del sistema di rilevamento delle presenze, ma anche l'allontanamento del lavoratore nel periodo intermedio tra le timbrature di entrata e di uscita trattandosi di comportamento fraudolento diretto a far emergere falsamente la presenza in ufficio.

Circa il controllo degli orari di effettiva presenza la ricorrente sostiene essere illegittima la modalità di ricorrere alle deposizioni dei colleghi, trattandosi di controllo occulto in violazione degli artt. 2, 3 e 4 dello Statuto dei Lavoratori, salvo sostenere nelle more della difesa che il controllo operato dagli altri dipendenti sarebbe stato legittimo ove fosse stata preventivamente avvisata ai sensi dell'art 3 L. 300/70.

La Cassazione sull'argomento è pervenuta all'affermazione di una «tendenziale ammissibilità dei controlli difensivi occulti, anche ad opera di personale estraneo all'organizzazione aziendale in quanto diretti all'accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, ferma comunque restando la necessaria esplicazione delle attività di accertamento mediante modalità non eccessivamente invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti, con le quali l'interesse del datore di lavoro al controllo e alla difesa dell'organizzazione produttiva aziendale deve contemperarsi e, in ogni caso, sempre secondo i canoni generali della correttezza e della buona fede».

Pertanto le conclusioni cui giunge il giudice a seguito dell'analisi dei fatti portati in giudizio è il totale detrimento del rapporto di fiducia tra la dipendente e l'ente tale da non consentire la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto di lavoro e giustificare pertanto la cessazione immediata senza preavviso. Il danno reso dal comportamento della dipendente è di particolare gravità in relazione alla funzionalità dell'ente finalizzata a rendere un servizio efficiente alla collettività.

Tribunale di Como, Sez. Lavoro, sentenza del 7 gennaio 2020, n. 347