Il datore di lavoro non può licenziare per giustificato motivo, ai sensi dell'art. 3, L. 604/1966, il dipendente rimasto reiteratamente assente per malattia, ma può esercitare il recesso solo dopo che si sia esaurito il periodo all'uopo fissato dalla contrattazione collettiva, ovvero, in difetto, determinato secondo equità.
Il caso oggetto della pronuncia in commento tratta di un lavoratore licenziato per scarso rendimento dovuto all'elevato numero di assenze, sebbene le stesse non esaurissero il periodo di comporto previsto dal contratto collettivo applicato.
La Cassazione ha affermato, preliminarmente, che la non utilità della prestazione per il tempo della malattia è un evento previsto e disciplinato dal legislatore con conseguenze che possono portare alla risoluzione del rapporto di lavoro solo dopo il superamento del periodo di comporto disciplinato dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
Secondo la Cassazione le numerose assenze del dipendente per malattia non possono essere assunte quale giustificazione di un licenziamento per scarso rendimento, caratterizzato da un inadempimento, seppur incolpevole, del lavoratore, essendo invece improntate alla tutela della salute che, in quanto valore preminente, ne giustifica la specialità.
La malattia del lavoratore, tanto nel caso di una sola affezione continuata, quanto in quello del succedersi di diversi episodi morbosi (cosiddetta eccessiva morbilità) è, infatti, soggetta alle regole dettate dall'articolo 2110 cod. civ., che prevalgono, per la loro specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali.
Per la Cassazione le norme non consentono al datore di lavoro di porre fine unilateralmente al rapporto di lavoro sino al superamento del limite di tollerabilità dell'assenza predeterminata dalla legge.
In tal modo, si contemperano gli interessi confliggenti del datore di lavoro (che vorrebbe «mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce)» e del dipendente (a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza il rischio di perdere la propria occupazione). riversando sul datore di lavoro, il rischio della malattia del dipendente.
Secondo la Cassazione, se da un lato il datore di lavoro non può recedere dal rapporto prima del superamento del limite massimo dell'assenza, dall'altro, il superamento di detto limite è condizione sufficiente a legittimare il recesso, nel senso che non è necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo, nè della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, nè della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse (cfr. Cass. n. 1861/2010 e Cass. n. 1404/2012). Pertanto, il licenziamento deve considerarsi ingiustificato ove il recesso sia intimato per scarso rendimento dovuto essenzialmente all'elevato numero di assenze che non siano però tali da esaurire il periodo di comporto ( Cass. n. 16582/2015 e Cass. n. 13624/2005).
Corte di Cassazione. Sez. Lav. 13 giugno 2018, n. 15523