La contestazione dell'addebito disciplinare a carico del lavoratore subordinato non è assimi­labile alla formulazione dell'accusa nel proces­so penale, assolvendo esclusivamente alla funzione di consentire al lavoratore incolpato di esercitare pienamente il proprio diritto di dife­sa. Pertanto, la suddetta contestazione va va­lutata in modo autonomo rispetto ad eventuali imputazioni in sede penale a carico del lavora­tore. Ne consegue che se, in sede penale, sia stata emessa in favore del lavoratore sentenza irrevocabile di assoluzione dibattimentale, con qualsiasi formula adottata, ai sensi dell'art. 654 c.p.p. (in tema di effetti in sede civile di tale tipo di sentenza), il discrimine tra efficacia vincolan­te dell'accertamento dei fatti materiali in sede penale e libera valutazione degli stessi in sede civile è costituito dall'apprezzamento della rile­vanza in detta sede degli stessi fatti, essendo ipotizzabile che essi, pur rivelatisi non decisivi per la configurazione del reato contestato, conservino rilievo ai fini del rapporto dedotto innan­zi al giudice civile, con la conseguenza che dall'assoluzione dalla penale responsabilità non discende in tal caso l'automatica conse­guenza della preclusione alla cognizione della domanda da parte di detto giudice.

Cassazione, sez. lav., 5 gennaio 2015, n. 13