Per la Corte d’Appello di Brescia lo spostamento del dirigente RSU ad altro plesso non è attività sindacale ma legittimo esercizio del potere datoriale.

La struttura organizzativa dell’istituzione scolastica prevede l’articolazione in plessi che possono avere una disseminazione territoriale molto varia, prevedendo distanze diverse e afferenti anche alla morfologia territoriale e alla tipologia degli istituti. Da questo punto di vista, i casi sono due:

  • da una parte, gli istituti comprensivi che possono avere diverse sedi e plessi ripartiti per ordini scolastici quali scuola dell'infanzia, scuola primaria e scuola secondaria di primo grado;
  • dall'altra parte, gli istituti superiori, che possono essere formati da più plessi secondo indirizzi di studio, turnazioni necessarie e tipologia di scuola.

Se per alcune assegnazioni non c'è grande margine decisionale - per esempio, un assistente tecnico sarà legato al laboratorio specifico - il caso dei collaboratori richiede particolare attenzione.

Una premessa è d’obbligo. Per illustrare il caso bisogna puntualizzare la sfera del potere dirigenziale in ambito scolastico. L’assegnazione del personale ATA ai plessi rientra nelle prerogative datoriali del dirigente scolastico, ai sensi dell’art. 5, comma 2 del d.lgs. 165/2001. Tale funzione, fino al CCNL 2006 era oggetto di contrattazione integrativa relativamente ai criteri da utilizzare. Con il CCNL 2018 sono stati soppressi i punti i) ed m) dell’art. 6 del vecchio CCNL 2006-09, ovvero:

i) criteri riguardanti le assegnazioni del personale docente, educativo ed ATA alle sezioni staccate e ai plessi, ricadute sull’organizzazione del lavoro e del servizio derivanti dall’intensificazione delle prestazioni legate alla definizione dell’unità didattica. Ritorni pomeridiani;

m) criteri e modalità relativi alla organizzazione del lavoro e all’articolazione dell’orario del personale docente, educativo ed ATA, nonché i criteri per l’individuazione del personale docente, educativo ed ATA da utilizzare nelle attività retribuite con il fondo di istituto.

Questi due punti oggi sono oggetto di “confronto”, relazione sindacale nuova, modalità attraverso la quale si instaura un dialogo approfondito sulle materie rimesse a tale livello di relazione, al fine di consentire ai soggetti sindacali di esprimere valutazioni esaustive e di partecipare costruttivamente alla definizione delle misure che l’amministrazione intende adottare. L’esito del confronto non pregiudica la possibilità per il dirigente di adottare i provvedimenti nelle materie oggetto del medesimo.

Capita che un dirigente sindacale - RSU, appartenente ai ruoli del personale ATA, sia trasferito in corso d’anno, da un plesso ad un altro per motivi di incompatibilità ambientale. In merito, la giustizia si è espressa in modo diverso. Tutto dipende dall’interpretazione dell’articolazione organizzativa, se il plesso possa essere individuato come unità operativa autonoma o solo un’articolazione della stessa sede.

La Cassazione osserva che a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 165/2001, non vi è più una norma espressa che consenta di trasferire personale dipendente della scuola, con la qualifica di ATA, per motivi di incompatibilità ambientale; in termini generali, nel pubblico impiego, i diritti e le prerogative sindacali nei luoghi di lavoro sono regolati dall’art. 42 del d.lgs. 165/01 (norma che, ai sensi dell’art. 70, co. 8, si applica al personale scolastico), che al primo comma fa rinvio alle tutele previste dalla l. 300/70, tra cui l’art. 22 Stat. Lav., che sottopone il trasferimento dei dirigenti sindacali (tra cui i componenti delle RSU) al previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza.

In mancanza di detto nulla osta, non vale richiamare l’esistenza di situazioni di incompatibilità ambientale atte a sorreggere il trasferimento che, se disposto nei confronti di dirigente sindacale senza l’osservanza delle formalità prescritte, resterebbe comunque inficiato da una presunzione di antisindacalità. Ciò in quanto le ragioni di incompatibilità, addotte a giustificazione del provvedimento di trasferimento, non possono condizionare l’applicazione della disciplina dettata a salvaguardia del prioritario interesse all’espletamento dell’attività sindacale (Cassazione civile, sentenza del 1° giugno 2023, n.15548).

È stata la Corte d’Appello di Brescia (sez. lavoro), con la sentenza del 09 gennaio 2025, n. 303, ad interpretare in modo diverso la questione. Il collegio ricostruisce il quadro normativo per qualificare la natura giuridica del “plesso”, partendo dall’assunto che nel pubblico impiego contrattualizzato le prerogative sindacali nei luoghi di lavoro sono regolate dall’art. 42 del d.lgs. n. 165 del 2001 che prevede che “nelle pubbliche amministrazioni le libertà e l’attività sindacale sono tutelate nelle forme previste dalle disposizioni della L. 20 maggio 1979, n. 300 e successive modificazioni e integrazioni”; il comma 6 prevede che “I componenti della rappresentanza unitaria del personale sono equiparati ai dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali ai fini della L. 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, e del presente decreto” e il comma 8 dispone che gli organismi di cui ai commi 2 (rsa) e 3 (rsu) possono essere costituiti “nel caso di amministrazioni o enti con pluralità di sedi o strutture periferiche”“anche presso le sedi o strutture periferiche che siano considerate livelli decentrati di contrattazione collettiva dai contratti collettivi nazionali”.

Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità in mancanza di una definizione delle nozioni di unità operativa o di unità produttiva (v. art. 22 Sta. Lav.), tali concetti devono essere intesi nel significato desumibile dalle prescrizioni rinvenibili nell’ordinamento di settore (v. tra le altre Cass. Sez. lav. N. 14196 del 2016).

Ebbene, con riferimento al caso specifico di cui ci stiamo accupando, lo spostamento dell’appellante, assistente amministrativo, da un plesso all’altro, non presenta le caratteristiche del “trasferimento” del dirigente sindacale da una unità produttiva a un’altra, per il quale la legge, come detto, prescrive a pena di nullità il previo nulla osta dell’associazione sindacale di appartenenza.

L’amministrazione scolastica, infatti, si articola sul territorio in diversi istituti comprensivi ciascuno dei quali può comprendere al proprio interno uno o più plessi che fanno capo alla sede principale e sono soggetti alle determinazioni del dirigente dell’istituto comprensivo.

Nel caso dell’appellante, il plesso di destinazione non era dotato di una organizzazione autonoma e separata rispetto alla sede centrale: dalla documentazione prodotta in atti dalle parti emerge che era la dirigente scolastica a emettere gli ordini di servizio nei confronti dei plessi facenti parte dell’istituto scolastico, a emettere le circolari indirizzate al personale di tutti gli uffici dell’istituto, ad avviare le relazioni con le associazioni sindacali, ad adottare i decreti aventi ad oggetto l’approvazione dei piani delle attività scolastiche relativi al personale amministrativo e docente di tutto l’istituto comprensivo.

Sotto il profilo amministrativo e organizzativo, dunque, il plesso non rappresentava una unità operativa autonoma rispetto alla sede principale presso la quale l’appellante risultava incardinato, sebbene sin da subito inviato a prestare servizio presso il plesso staccato.

L’appellante, inoltre, era stato eletto come RSU dell’istituto e non già per la sola sede secondaria, circostanza che risulta documentalmente dall’atto di “surroga” del componente RSU dimissionario.

La circostanza dedotta dall’appellante in base alla quale si tenevano assemblee sindacali separate, invero, è priva di rilevanza in quanto, quand’anche fosse vera, costituirebbe soltanto l’espressione di una scelta organizzativa delle associazioni sindacali e non dimostrerebbe comunque l’autonomia sul piano organizzativo e amministrativo del plesso staccato.

Non costituendo, dunque, la sede principale e il plesso staccato sedi scolastiche diverse ma un’unica sede articolata in più plessi, lo spostamento dell’appellante non costituisce un “trasferimento” del dirigente sindacale ai sensi dell’art. 22 Statuto dei lavoratori e, come tale, non necessitava del nulla osta dell’associazione sindacale.

Non vale, d’altro canto, richiamare la difficoltà a svolgere la propria attività sindacale trovandosi assegnato alla sede staccata. Tale difficoltà deve essere oggettiva e non può consistere in una distanza di qualche chilometro. In ogni caso affinché sia ravvisabile l’obiettiva idoneità della condotta a ledere la libertà e l’attività sindacale, sarebbe comunque necessario riscontrare in concreto che l’allontanamento del lavoratore che svolga attività sindacale comporta un pregiudizio alla possibilità di un suo efficace svolgimento, prova che incomberebbe sull’Organizzazione sindacale di appartenenza. Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale (Cass. n. 1684/2003), per integrarsi gli estremi della condotta antisindacale di cui all'art. 28 Stat. Lav. è solo “sufficiente che il comportamento del datore di lavoro leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali” non essendo necessari la presenza di altri elementi quali, per esempio, uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro.

"La condotta datoriale, in tal caso, può anche integrare una violazione dell'art. 28 st. lav. qualora le scelte datoriali sottendano un intento discriminatorio o siano oggettivamente, anche sul piano potenziale, idonee a ledere la libertà e l'attività sindacale, comportando un lungo allontanamento dai compagni di lavoro o limitando, in altro modo, la possibilità di svolgimento dell'attività sindacale; il relativo accertamento si deve estendere alle modalità, alla durata ed alle ragioni dell'allontanamento dalla sede lavorativa"; è quindi la lesione del "rapporto di rappresentanza" che si determina tra il dirigente sindacale ed i lavoratori dell'unità produttiva di originaria assegnazione che costituisce l'elemento discriminante tra il trasferimento con o senza il nulla osta del sindacatoPertanto, la giurisprudenza più accorta, ritiene che nel concetto di trasferimento dall'unità produttiva di cui all'art. 22 dello statuto dei lavoratori, dovrebbe essere compresa qualunque forma di "allontanamento" del dirigente sindacale.

Ovviamente l’onere della prova, relativo all’inadempimento datoriale, rimane a carico dell’Organizzazione sindacale in ottemperanza al principio di cui all’art. 2697 c.c.