La quinta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza del 18 giugno 2018 ha chiarito che elementi strutturali della responsabilità della pubblica amministrazione per i danni derivati al privato dalla ritardata emanazione di un provvedimento favorevole – anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 2 bis, comma 1, della legge n. 241 del 1990 - sono quelli dettati dal paradigma generale dell’illecito aquiliano di cui all’art. 2043 cod. civ. Occorre allora verificare la sussistenza dei presupposti di carattere oggettivo (ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subito), nonché quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa della p.a.), con la precisazione che la valutazione di questi ultimi non può essere fondata soltanto sul dato oggettivo del procrastinarsi del procedimento amministrativo (pur potendo questo costituire un indice significativo: cfr., tra le altre, Cons. Stato, VI, 10 giugno 2014, n. 2964, ma anche Cons. Stato, IV, 7 marzo 2013, n. 1406), necessitando della dimostrazione che la p.a. sia incorsa in un comportamento negligente, in contrasto con i canoni di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa (cfr., tra le altre, Cons. Stato, IV, 4 settembre 2013, n. 4452; nonché Cons. Stato, V, 9 ottobre 2013, n. 4968) ovvero, secondo altra concorrente linea interpretativa, necessitando della dimostrazione dell’insussistenza di un errore scusabile dell’amministrazione che faccia venir meno la presunzione di responsabilità dovuta all’indebito protrarsi del procedimento amministrativo (cfr., tra le altre Cons. Stato, 14 novembre 2014, n. 5600, che richiama la giurisprudenza formatasi sull’esimente dell’errore scusabile dovuto a contrasti giurisprudenziali, a formulazioni normative incerte, a complessità del fatto, alla sopravvenienza di dichiarazioni di incostituzionalità)”.