In caso di accertamento della responsabilità del dipendente per asserita condotta negligente è preliminare la verifica della riconducibilità degli obblighi di diligenza a precise mansioni e disposizioni aziendali. In tal senso, compete al datore di lavoro la prova della fattispecie di inadempimento, oltre che del danno e del nesso di causalità, mentre resta a carico del lavoratore la prova della non imputabilità della violazione delle regole del rapporto ed il grado di diligenza dovuta dal lavoratore – variabile secondo le peculiarità del singolo rapporto – deve essere apprezzato secondo due distinti parametri, costituiti dalla natura della prestazione, ovvero dalla complessità delle mansioni svolte anche con riferimento all'assunzione di responsabilità alle stesse collegata, e dall'interesse dell'impresa, ovvero dal raccordo della prestazione con la specifica organizzazione imprenditoriale in funzione della quale è resa.

In particolare la Cassazione ha rilevato che è proprio da una corretta ripartizione degli oneri probatori che deriva l'obbligo per il datore, in caso di contestazione di una condotta negligente al dipendente, di dimostrare «la riconducibilità degli obblighi di diligenza dei lavoratori a precise mansioni e disposizioni aziendali».

Nel caso di specie, sempre secondo la Suprema Corte, non è stata data prova di ciò da parte della società datrice di lavoro, con conseguente impossibilità di addossare la relativa responsabilità ai due dipendenti. In tali ipotesi – ha ribadito la Corte - il datore di lavoro deve provare anche il danno e il nesso di causalità, oltre che «il grado di diligenza dovuta dal lavoratore, variabile secondo le peculiarità del singolo rapporto» apprezzabile secondo due distinti parametri, «costituiti dalla natura della prestazione, ovvero dalla complessità delle mansioni svolte anche con riferimento all'assunzione di responsabilità alle stesse collegata, e dall'interesse dell'impresa». Resta poi in capo al lavoratore l'onere di provare «la non imputabilità della violazione delle regole del rapporto».

Corte di Cassazione, Sez. Lav., 8 luglio 2021, n. 19529