Ai fini del configurarsi di una condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 l. 300/1970 non è necessaria la sussistenza di uno specifico elemento intenzionale in capo al datore di lavoro, essendo sufficiente che il comportamento posto in essere sia oggettivamente e concretamente idoneo a ledere gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali.
Nel caso di specie il Giudice ha ritenuto sussistente la condotta antisindacale del dirigente scolastico che ha omesso l’invio – a seguito di specifica richiesta della RSU – della informativa ex art. 6, comma 3, CCNL comparto scuola.
L'art. 28 dello St.lav. individua il comportamento antisindacale in base alla sua idoneità a ledere beni protetti e non in base a caratteristiche strutturali del comportamento.
Rilevato che per aversi comportamento antisindacale è necessario che il comportamento leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali e che la condotta abbia in concreto limitato la libertà sindacale o il diritto di sciopero, senza che risulti necessario altresì uno specifico elemento intenzionale in capo al datore di lavoro (cfr. ex multis, Cass. Civ. Sez. Lav., n. 13726/2014).
Ritenuto che, in applicazione dei suddetti principi, l'omessa informazione preventiva e successiva prevista dal c.c.n.l. di comparto delinei una condotta antisindacale, ledendo gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, e ciò in quanto l'informativa preventiva ha indubbiamente una funzione prodromica alla contrattazione, consentendo alle sigle sindacali una preparazione adeguata per la contrattazione, mentre l'informativa successiva assolve ad una funzione di controllo sull'attuazione della contrattazione.
Rilevato che secondo la Suprema Corte la violazione dell'obbligo della comunicazione (e, del pari, l'esistenza di vizi inerenti al contenuto di tale obbligo), da un lato, integra una, vera e propria ipotesi di condotta antisindacale, che può formare oggetto dell'azione prevista dall'art. 28 della L. n. 300 del 1970 e, dall'altro, investendo un elemento essenziale (e non meramente formale o marginale) della complessa fattispecie, è causa diretta di illegittimità del provvedimento finale, perché preclude la mancata verifica del corretto esercizio del potere del datore di lavoro e impedisce il perseguimento dello scopo previsto dalla legge, ossia la tutela della posizione dei singoli lavoratori coinvolti nella procedura, in quanto l'inosservanza della garanzia procedimentale, implicante la mancata attuazione del principio di trasparenza, incide direttamente sul provvedimento finale (cfr. ex multis, Cass. Civ. Sez. Unite, n. 302/2000).
Tribunale sez. lav. - Milano, 09/03/2017, n. 704