Commento a sentenza n. 3250 del 9.04.2024 del Consiglio di Stato
Premessa
Una scuola paritaria di secondo grado, vistasi revocare la parità perché offriva la possibilità di passare in una classe di diverso corso di studi, senza esame integrativo e quindi in violazione del DM 5 dell’8 febbraio 2021, impugnava davanti al TAR Lazio il decreto in parola nella parte in cui - all’art. 4 - stabilisce l’obbligo, per gli studenti che vogliano ottenere il passaggio ad una classe corrispondente di altro percorso, indirizzo, articolazione, opzione di scuola secondaria di secondo grado, di sostenere un esame integrativo.
Secondo la prospettazione di parte ricorrente, il passaggio tra classi parallele dei diversi istituti scolastici, dopo l’abrogazione (disposta dall’art. 31, comma 2, del D.Lgs 17 ottobre 2005, n. 226) dell’art. 192 del D.lgs. 297/1994, non potrebbe più essere subordinata al superamento, da parte degli studenti, degli “esami integrativi” ivi disciplinati; essendo sufficiente l’adozione di “misure idonee”, consistenti in attività di affiancamento e di orientamento degli studenti verso il nuovo percorso di studi da parte dei docenti della stessa scuola di provenienza, allegando a supporto della propria ricostruzione normativa una pronuncia del Consiglio di Stato (sent. 21 marzo 2018 n. 1823).
In conseguenza di tale ricostruzione, il Ministero dell'Istruzione, con il DM impugnato, avrebbe invaso l’autonomia didattica assegnata alle istituzioni scolastiche.
Il TAR, con sent. n. 5847/2022 respingeva il ricorso, ma avverso tale pronuncia veniva proposta impugnazione, accolta dal Consiglio di Stato.
La ricostruzione normativa
Il tema del passaggio da un indirizzo di studio ad un altro era, originariamente, regolamentato dall’art. 192 del D.Lgs. 297/1994, che prevedeva l’istituto degli esami integrativi.
Tale norma risulta tuttavia abrogata dall’art. 31 del D.Lgs. 226/2005. Tale decreto, all’art. 1 comma 7, prevede, infatti, che «Le istituzioni del sistema educativo di istruzione e formazione assicurano ed assistono, anche associandosi tra loro, la possibilità di cambiare scelta tra i percorsi liceali e, all'interno di questi, tra gli indirizzi, ove previsti, nonché di passare dai percorsi liceali a quelli dell'istruzione e formazione professionale e viceversa. A tali fini le predette istituzioni adottano apposite iniziative didattiche, per consentire l'acquisizione di una preparazione adeguata alla nuova scelta».
Ciò anchein coerenza con l’art. 4, comma 6, del DPR 295/1999, il quale contempla il passaggio orizzontale tra i diversi tipi e indirizzi di studio quale profilo inerente all'autonomia funzionale della scuola, così recitando: «I criteri per il riconoscimento dei crediti e per il recupero dei debiti scolastici riferiti ai percorsi dei singoli alunni sono individuati dalle istituzioni scolastiche avuto riguardo agli obiettivi specifici di apprendimento di cui all'articolo 8 e tenuto conto della necessità di facilitare i passaggi tra diversi tipi e indirizzi di studio, di favorire l'integrazione tra sistemi formativi, di agevolare le uscite e i rientri tra scuola, formazione professionale e mondo del lavoro [...]».
Nel 2021 è, però, intervenuto il DM 5 che, all’art. 4, disciplina gli esami integrativi per la scuola secondaria di secondo grado, prevedendo che ad essi debbano sottoporsi gli studenti che intendono ottenere il passaggio ad altro percorso, indirizzo, articolazione od opzione di scuola secondaria di secondo grado. Secondo quanto previsto da tale decreto, gli interessati devono sostenere gli esami sulle discipline, o parti di discipline, non coincidenti con il percorso di provenienza.
Al fine di favorire il riorientamento, non devono, invece, sostenere detti esami gli studenti del primo anno, che vogliono cambiare indirizzo durante il medesimo anno scolastico (a condizione che ne facciano richiesta entro il 31 Gennaio), nonchè gli studenti ammessi alla classe successiva in sede di scrutinio finale al termine del primo anno, che chiedono di essere iscritti alla seconda classe di altro indirizzo di studi.
Il tema del passaggio ad una classe corrispondente di un diverso indirizzo di studi ha assunto negli ultimi decenni un rilievo particolare anche in conseguenza della normativa che fa riferimento a processi e traguardi educativi che parlano di insegnamento individualizzato, di personalizzazione del processo educativo e di didattica orientativa.
La sentenza in commento
Come accennato in premessa, il Consiglio di Stato accoglie la prospettazione della ricorrente e muove il ragionamento dall’assunto che «gli esami scolastici, nel nostro ordinamento - in attuazione dei commi 3 e 4 dell’art. 33 della Costituzione - devono sempre essere previsti da una legge»; la quale non esiste più attesa l’intervenuta abrogazione dell’art. 192 del D.Lgs. 297/1994.
«Aggiungasi che quella tipologia di esame rappresentava comunque un’eccezione nel panorama ordinamentale, che, di norma, in assonanza con quanto previsto dal comma 4 dell’art.33 della Costituzione, contempla la necessità di esami scolastici nei soli passaggi “verticali”, cioè in occasione del passaggio ad una classe, o ad un grado di scuola, superiori».
Inoltre il comma 7 dell’art.1 del citato D.Lgs. n.226/2005 ha previsto la possibilità di passaggi di studenti tra classi corrispondenti dei diversi corsi di studio, senza espressamente prevedere la necessità di appositi esami, facendo così definitivamente scomparire l’esame integrativo dal panorama legislativo. E tanto, sul presupposto che ogni scuola è dotata di autonomia didattica, organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo e può perciò valutare quali siano le modalità con le quali uno studente può passare da un orientamento scolastico ad un altro.
«Quanto precede -aggiunge la Corte - già di per sé solo basterebbe ad escludere la legittimità del decreto ministeriale impugnato che ha impropriamente fatto rivivere un istituto coperto da riserva di legge ed abrogato per espressa previsione di una legge, così contraddicendo una chiara volontà del legislatore, per di più, come dimostra proprio il caso di specie, incidendo in una materia nella quale va garantita la libertà di insegnamento, sotto il profilo della tutela dell’autonomia didattica dei singoli istituti scolastici, pubblici o privati che essi siano».
Ma la Corte sviluppa ulteriormente il ragionamento, evidenziando un argomento sistematico, consistente nel cambio di prospettiva che, negli ultimi venti anni, il legislatore ha inteso imprimere al nostro ordinamento scolastico dedicato all’istruzione secondaria di secondo grado, del quale ha inteso promuovere la dinamicità e duttilità, nell’intento di evitare la cristallizzazione delle scelte fatte dallo studente al termine del triennio della scuola secondaria di primo grado.
Al chiaro scopo di consentire la rimeditazione di una preferenza, indicata in una fase, quella adolescenziale, nella quale è altamente verosimile che lo studente non abbia ancora raggiunto piena maturità ed adeguata consapevolezza culturale, il legislatore del 2005 ha, appunto, abrogato la norma che prevedeva gli esami integrativi, assegnando invece alle istituzioni del sistema educativo di istruzione e formazione il compito di garantire la possibilità di modificare i percorsi di secondo grado originariamente prescelti, appunto nella convinzione che, nella fase di crescita, le aspirazioni ed attitudini del discente possano mutare o meglio precisarsi.
«Scegliendo questa opzione, il legislatore ha evidentemente impresso una tendenziale flessibilità alla nozione “percorso di studi” che finirebbe per essere rallentata, se non ostacolata, dalla presenza di esami integrativi obbligatori che potrebbero scoraggiare i fisiologici ripensamenti dello studente, impedendogli l’esercizio di una libera, ma consapevole, facoltà di scelta.
Il legislatore ha, in altre parole, voluto escludere che la concessa possibilità di rimeditazione fosse influenzata da un controllo invasivo, e perciò, temibile, quale quello astrattamente, rappresentato da un esame di stato al cui superamento subordinare l’efficacia dell’opzione».
Ciò non di meno, rileva sempre la Corte, le disposizioni normative non hanno voluto lasciare lo studente “solo in questa delicata fase”, prevedendo che, in quel momento, sia assistito dalle istituzioni scolastiche di prossimità, ossia dagli istituti originariamente prescelti.
A questi ultimi la legge ha dunque attribuito un ruolo decisivo nell’orientare il giovane, oltre che nel valutarne attitudini e capacità nell’affrontare il nuovo ciclo formativo, individuando anche le modalità ritenute di volta in volta più idonee ad accompagnare detto passaggio. Queste modalità consisteranno, a titolo esemplificativo -e come del resto previsto dall’art. 5 del DPR 323/1999- in lezioni integrative, interventi di sostegno, in diverse tipologie di verifiche disposte al fine di sondarne attitudini, ma anche la fermezza di volontà nell’intraprendere il nuovo percorso. Interventi e misure che potranno essere poste in essere lungo un ampio arco temporale, eventualmente modulabile, e non rimanere confinate in un unico momento, rappresentato da una breve prova d’esame, che potrebbe essere fonte di stress e comunque dall’esito non prevedibile.
«In questa logica di accompagnamento graduale del discente che voglia modificare il proprio percorso, il Decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275 in tema di autonomia delle istituzioni scolastiche prevede opportunamente che i criteri per il riconoscimento dei crediti e per il recupero dei debiti scolastici, sono individuati dalle istituzioni scolastiche tenendo conto degli obiettivi specifici di apprendimento e, tra gli altri, dellanecessità di agevolare i passaggi tra i diversi percorsi di studio, favorendo l’integrazione tra sistemi formativi e facilitando le transizioni tra scuola, formazione professionale e mondo del lavoro».
La Corte afferma, in conclusione, che l’attuale sistema persegue due obiettivi: favorire il passaggio di uno studente da un istituto ad un altro di diverso orientamento e responsabilizzare, nella transizione, l’istituto di appartenenza dell’optante. Entrambi gli obiettivi appaiono in stridente contrasto con il sistema degli esami integrativi la cui permanenza in vita, anche in quest’ottica, deve ritenersi del tutto improponibile.
A ciò deve aggiungersi che questi ultimi rappresenterebbero anche seri ostacoli all’esercizio dell’autonomia didattica ed organizzativa attribuita a tutte le istituzioni scolastiche (prevista dal comma 4 dell’articolo 1 del d. lgs. n.226/2005), che può essere limitata solo per le esigenze di coordinamento conseguenti alla necessità di riconoscere un valore equipollente ai titoli di istruzione, indipendentemente dall’istituto che li rilascia. Ma ciò vale solo per le verifiche “verticali” da eseguirsi in occasione dei passaggi ad una classe o ad un grado superiore di istruzione.
La Corte respinge, infine, la tesi del Ministero, che fondava la legittimità della previsione degli esami integrativi sull’art.12 comma 5 del D.Lgs. n.62 del 2017 che, disciplinando il controllo ispettivo ministeriale sugli istituti parificati, lo estende testualmente, oltre che all’esame di idoneità, anche a quelli “integrativi”, con ciò, anche secondo il giudice di prime cure, riconoscendo implicitamente la sopravvivenza dell’istituto.
Tale interpretazione, invece, «contrasta irrefragabilmente sia con l’inequivocabile volontà legislativa di abrogare l’istituto in questione che con i principi emergenti dall’attuale sistema ordinamentale in tema di duttilità delle scelte degli studenti, per come appena ricostruiti». Mentre l’esigenza di garantire che il potere ispettivo ministeriale possa essere esercitato anche in occasione dei suddetti passaggi di istituto, può essere adeguatamente salvaguardata leggendo nella norma citata un rinvio dinamico, e non statico né letterale, alle modalità didattiche sopra accennate, ossia a quegli strumenti che il singolo istituto deve approntare onde verificare e, allo stesso tempo, orientare le scelte dello studente che abbia manifestato l’intenzione di transitare in una scuola di orientamento diverso.
In questi limiti il potere ispettivo rimane, garantendo la coerenza del sistema, senza dover necessariamente imporsi la reviviscenza di un istituto, quale quello degli esami integrativi, che sarebbe contraria alla inequivoca voluntas legis emergente dai ricordati interventi normativi.
Alla luce di tutto ciò la Corte dispone l’annullamento, in parte qua, del decreto impugnato.
Sugli effetti ultra partes del giudicato amministrativo
L’ultima questione da affrontare è quella degli effetti della sentenza.
Come noto, infatti, al giudicato amministrativo si estende analogicamente la regola stabilita dall’art. 2909 c.c. per il giudicato civile, in base alla quale la sentenza ha effetti soltanto tra le parti del giudizio, i loro eredi o aventi causa.
Tuttavia, secondo la costante giurisprudenza, tale regola conosce un’importante eccezione nel caso in cui la sentenza di annullamento colpisca atti amministrativi aventi una pluralità di destinatari indeterminata o indeterminabile a priori.
Appartengono a tale categoria i regolamenti, i decreti, le ordinanze e, più in generale, gli atti normativi, nonché gli atti amministrativi generali e collettivi.
In questi casi, stante la natura indivisibile degli effetti dell’atto annullato, la sentenza di annullamento non si limita a produrre effetti nei confronti delle sole parti del giudizio, ma estende l’efficacia necessariamente ultra partes o addirittura erga omnes (cfr., ex multis, Cons. St. 942/2023).
Con la conseguenza che tali esami integrativi non dovrebbero più essere organizzati al fine di disciplinare il passaggio di uno studente delle scuole superiori da un indirizzo/opzione di studio ad un’altra.
Di Gianluca Dradi su Dirigere la scuola n. 10/2024