Secondo la corte di cassazione ( Sez. Lav., ord. 14 maggio 2024 n. 13274) costituisce giusta causa di licenziamento l'utilizzo di permessi ex lege n. 104 del 1992 per attività diverse dall'assistenza al familiare disabile, con violazione della finalità per la quale il beneficio è concesso. La norma non consente di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui è preordinato: il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela. Ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile manchi del tutto non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e dunque si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto.
La fattispecie è relativa al licenziamento disposto nei confronti di un dipendente che durante due giorni di permesso ex art. 33 L. n. 104/1992, per la parte coincidente con il suo abituale orario di lavoro, si era occupato di affari del tutto diversi dall'assistenza al padre inabile.
Il giudice di merito nel respingere il ricorso del lavoratore che nei due giorni oggetto di contestazione disciplinare, il lavoratore, in concomitanza con il proprio orario di servizio, si era recato presso la residenza del padre solo per mezz'ora, dedicandosi, per il resto della durata dei permessi, ad attività del tutto diverse ed estranee alla finalità di assistenza in vista della quale il beneficio era stato concesso ed è previsto dall'ordinamento.
La Corte di Cassazione a cui si è rivolto il dipendente, preliminarmente richiama il proprio consolidato orientamento secondo cui l'assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l'esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ovvero l'assistenza al disabile.
La norma, infatti, non consente di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui essa è preordinata. Il sacrificio organizzativo che il beneficio comporta per il datore di lavoro è giustificabile solo ove sussistano esigenze che il legislatore ha ritenuto meritevoli di superiore tutela.«Ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile manchi del tutto non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e dunque si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto.».
Pertanto la condotta del dipendente che si avvalga dei permessi de quo per dedicarsi a esigenze diverse integra abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che nei confronti dell'ente previdenziale, con rilevanza anche ai fini disciplinari. La suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito nel respingere il ricorso.
Invero, sottolinea la corte, sebbene il concetto di assistenza non vada inteso come vicinanza continuativa e ininterrotta alla persona disabile, essendo evidente che la cura di un congiunto affetto da menomazioni psico-fisiche, non in grado di provvedere alle esigenze fondamentali di vita, spesso richiede interventi diversificati, cionondimeno deve riconoscersi che, nel caso di specie, durante i due giorni di permesso e in concomitanza con l'orario di lavoro, esclusi circa trenta minuti nei quali aveva prestato assistenza al padre, il lavoratore si era
dedicato ad attività neanche latamente connesse con l'assistenza del congiunto.
Del pari immune da vizi è stata ritenuta la gravata sentenza con riferimento al giudizio di proporzionalità della sanzione irrogata alla condotta contestata.
Infatti compete al giudice del merito la ricostruzione dei fatti e il giudizio di sussunzione degli stessi che deve essere parametrato agli standard valutativi della condotta accreditati nel contesto sociale e in riferimento ai beni da tutelare. Nel caso di specie i giudici di merito hanno valutato il dato oggettivo dell'abuso del permesso reiterato due volte nello stesso mese ed ha altresì valorizzato la posizione del lavoratore, delegato sindacale, e, dunque, ben consapevole della funzione dei permessi e della loro destinazione alla assistenza dei disabili, con ciò evidenziando che tale peculiare posizione metteva il lavoratore pienamente in grado di rendersi conto del disvalore delle proprie condotte. Per tali motivi la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del dipendente confermando il licenziamento per giusta causa.