Il Tribunale di Bologna ha annullato il provvedimento di sospensione cautelare impartito dall'u.p.d. a un docente per presunti maltrattamenti di un alunno denunciati dai genitori. Il giudice del lavoro ha avvalorato quanto già affermato dalla giurisprudenza di legittimità nell'ambito dell'impiego privato, secondo cui la sospensione cautelare è una misura di carattere provvisorio e strumentale, disposta obbligatoriamente ovvero per autonoma decisione del datore di lavoro, volta ad evitare la permanenza del lavoratore sul posto di lavoro nei casi previsti, che esaurisce i suoi effetti con la revoca o con l’adozione dei provvedimenti disciplinari graduati secondo la gravità dell’infrazione accertata e contestata (Cassazione civile n. 25136/2010; Cassazione civile n. 15353/2012; Cassazione civile n. 8411/2018), Nel caso in questione, per converso, la docente non era stata rinviata a giudizio al momento dell'adozione nei suoi confronti della misura della sospensione cautelare. Dunque non poteva ritenersi conforme a legge il provvedimento di sospensione cautelare dal servizio adottato dall'amministrazione, a cui è stato ordinato di reintegrare la docente sanzionata nel posto di lavoro e nelle mansioni precedentemente svolte.
Così secondo l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione in materia di lettura dell’art. 62 comma secondo ccnl comparto Scuola: "In tema di pubblico impiego privatizzato e con riferimento alla sospensione cautelare di personale docente del Ministero della Pubblica Istruzione, le regole da applicare in forza della disciplina transitoria di cui all’art. 69, comma 1, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (alla data del 4 settembre 2000), sono quelle dettate dal CCNL 4 agosto 1995, comparto Scuola personale non dirigente, parte normativa 1994/1997 e parte economica 1994/1995 che, all’art. 62, ha integralmente regolato l’istituto della sospensione cautelare in caso di procedimento penale, così rendendo inapplicabile la previgente disciplina legislativa. Ne consegue che, ai sensi del secondo comma dell’art. 62 cit. e fuori dall’ipotesi della sospensione obbligatoria disciplinata dal primo comma del medesimo articolo, il dipendente può essere sospeso dal servizio solo quando sia stato rinviato a giudizio per fatti direttamente attinenti al rapporto di lavoro o comunque tali da comportare, se accertati, l’applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento ai sensi dell’art. 60, commi 7 e 8". (Cassazione civile, sentenza del 22/11/2010, n. 23627).
Il principio è stato esteso anche all’impiego pubblico ed infatti la suprema Corte di Cassazione, chiamata più volte a pronunciare sulla natura della sospensione cautelare (fra le più recenti Cass. nn. 5147/2013, 15941/2013, 26287/2013, 13160/2015, 9304/2017, 18849/2017, 10137/2018, 20708/2018, n. 7657/2019) ha evidenziato, in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa e costituzionale, che la sospensione dal servizio ha natura cautelare e non disciplinare, non richiede il previo contraddittorio con l’interessato e trova la sua ratio nella necessità di tutelare la “credibilità dell’amministrazione presso il pubblico, cioè il rapporto di fiducia dei cittadini verso l’istituzione, che può rischiare di essere incrinato dall’ombra gravante su di essa a causa dell’accusa da cui è colpita una persona attraverso la quale l’istituzione stessa opera” (si veda C. cost. n. 206/1999; Corte cost. n. 11988/2016).
Si è inoltre sottolineato, in relazione in particolare alla sospensione facoltativa, che il potere del datore di lavoro di estromettere temporaneamente dall’azienda o dall’ufficio il dipendente sottoposto a procedimento penale è espressione del generale potere organizzativo e direttivo e trova fondamento costituzionale, quanto all’impiego privato, nell’art. 41 Cost. e in relazione all’impiego pubblico nell’art. 97 Cost., perché finalizzato a garantire, in pendenza del procedimento penale, la corretta gestione dell’impresa o l’efficienza e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione. Anche il datore di lavoro pubblico esercita un potere privatistico di gestione del rapporto (arg. ex art. 5, co. 2, del d.lgs. n. 165 del 2001) che però risente della particolare natura del suo titolare, con la conseguenza che l’esercizio è condizionato dai sopra ricordati principi costituzionali. E’ stato precisato che la misura è solo finalizzata a impedire che, in pendenza di procedimento penale, la permanenza in servizio del dipendente inquisito possa pregiudicare l’immagine e il prestigio dell’amministrazione di appartenenza, la quale, quindi, è tenuta a valutare se nel caso concreto la gravità delle condotte per le quali si procede giustifichi l’immediato allontanamento dell’impiegato.
Tribunale di Bologna, sentenza del 30.05.2023, n. 385.