Nella scolarizzazione degli allievi con disabilità fisiche, sensoriali, comportamentali e più in generale con i cosiddetti bisogni speciali, si è prestata particolare attenzione agli aspetti didattici ed educativi, e non anche a quelli organizzativi ed assistenziali, benché anch'essi basilari per la qualità dei progetti di inclusione.
Così, è sempre un tema dibattuto e sensibile quello degli organici dei docenti specializzati per il sostegno su cui interviene la stessa giurisprudenza per dettare e garantire standard e tutele. Non si ha notizia, invece, di sentenze che obblighino l'amministrazione ad adeguare la consistenza dei collaboratori scolastici alla presenza e alle necessità di assistenza e cura degli allievi.
Questi compiti, benché impegnativi e gravosi, c’è chi li accetta e li svolge di buon grado, sviluppando empatie col bambino down, partecipando al viaggio di istruzione per facilitare gli spostamenti dell’adolescente paraplegico, aiutando in classe l’insegnante a contenere l’alunno oppositivo.
Tuttavia, c'è anche chi cerca di evitare le prestazioni a carattere assistenziale, sfruttando le contraddizioni e le lacune di un quadro normativo a tratti lacunoso e contraddittorio che ha provocato, in qualche caso, il ricorso alle figure genitoriali per l'accudimento del figlio, ad esempio per il cambio del pannolino nella scuola dell'infanzia.
Ovviamente, si tratta di una pratica illegale e contraria all'idea di una scuola inclusiva che deve rispondere ai bisogni di ognuno utilizzando e potenziando le proprie risorse organizzative e professionali.
A chi compete l'assistenza di base
Che l'assistenza di base debba essere espletata dalle figure interne all'istituzione scolastica è ormai un dato acquisito, giacché gli enti locali non garantiscono più, neppure in forma residuale, quegli interventi di natura igienico-personale di cui si occupavano prima della statalizzazione degli ausiliari avvenuta del 2000.
Su impulso delle associazioni dei disabili, nel 2001 il Miur, con la circolare n. 3390, ha chiarito che compete all'istituzione scolastica l’assistenza di base che riguarda essenzialmente gli spostamenti del disabile e l'uso dei servizi igienici, indicando uno specifico percorso per formare le figure preposte a tali compiti.
Rimane a carico degli enti locali e del servizio sanitario quella specialistica, finalizzata all’autonomia e alla comunicazione, con l’impiego, a titolo esemplificativo, di educatori professionali, assistenti educativi, esperti del linguaggio dei segni, personale paramedico e psico-sociale.
Anche nei contratti nazionali hanno trovato spazio nel corso degli anni le mansioni di assistenza a carico dei collaboratori scolastici, però collegate a funzioni aggiuntive e poi a incarichi specifici comportanti “l’assunzione di responsabilità ulteriori” o , “di particolare responsabilità, rischio o disagio”, con la previsione di appositi compensi. Ambiguo e fuorviante anche il c. 3 dell'art. 50 del CCNL 2006-09 per il quale ai destinatari della cosiddetta posizione economica "sono affidate, in aggiunta ai compiti previsti dallo specifico profilo, ulteriori e più complesse mansioni concernenti l'assistenza degli alunni diversamente abili e l'organizzazione degli interventi di primo soccorso".
Ciò ha indotto a ritenere che si trattasse di compiti aggiuntivi, vincolati al consenso degli interessati.
Le conseguenze di queste posizioni contrastano con quadro ordinamentale inclusivo per il quale vanno garantiti al disabile i livelli di assistenza necessari alla regolare frequenza scolastica, e la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22786 del 2016, ha confermato la condanna di tre collaboratrici scolastiche supplenti, rifiutatesi di cambiare il pannolino ad una bambina disabile della scuola dell’Infanzia. Il reato è quello di rifiuto di atti d’ufficio a cui si è aggiunto il risarcimento per le escoriazioni provocate dal mancato intervento assistenziale. La Suprema Corte ha ritenuto irrilevante l’assenza di incarico retribuito e di una formazione specifica, considerando mansione ordinaria del profilo, “l’assistenza materiale nell’uso dei servizi igienici e nella cura dell’igiene degli alunni con disabilità”.
Va, comunque, rilevato che i deficit di assistenza che possono verificarsi non debbono tout court essere attribuiti alla soggettività del collaboratore scolastico sbrigativamente caricato di attribuzioni che, piuttosto chiamano in causa la responsabilità di tutte le figure preposte all'organizzazione dei servizi, compresi il dirigente scolastico e il DSGA, e soprattutto il sistema politico-amministrativo che, ad esempio, non garantisce risorse e organici adeguati.
Per esemplificare, può verificarsi che in un piccolo plesso l'unico collaboratore in servizio, chiamato a garantire l'assistenza igienico-personale ad uno o più soggetti con disabilità e minorazioni fisiche più o meno gravi, debba nel contempo vigilare gli ingressi e accogliere il pubblico, sorvegliare le scolaresche temporaneamente prive di docente, rispondere al telefono, sorvegliare gli alunni durante la ricreazione e nel refettorio, supportare i docenti nelle innumerevoli necessità logistiche, provvedere alla commissioni esterne, alla piccola manutenzione e, magari, curare il prato e le aiuole.
In questi casi i carichi di lavoro possono diventare intollerabili e il piano delle attività deve indicare le priorità, le modalità e i tempi di intervento, le soluzioni organizzative che consentano di assolvere senza impedimenti ai compiti assistenziali e di cura.
Peraltro, di questi interventi, previsti espressamente per i soggetti con disabilità accertata, si ritiene che debbano eventualmente fruire tutti gli allievi dei diversi ordini scolastici che ne abbiano necessità in virtù di una condizione di bisogno anche temporaneo accertato dal consiglio di classe o semplicemente per rispondere ad una richiesta di aiuto espressa dagli stessi interessati.