Ai sensi dell'alt. 2087 c.c., in caso di infortunio sul lavoro, il datore di lavoro e totalmente esonerato da ogni responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore assuma caratteri di abnormità, inopinabili ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo "tipico" ed alle direttive ricevute, in modo da porsi quale causa esclusiva dell'evento. Qualora invece non ricorrano detti caratteri nel comportamento del lavoratore, l'imprenditore e integralmente responsabile dell'infortunio dipendente dall'inosservanza delle norme antinfortunistiche, qualora la violazione dell'obbligo di sicurezza integri l'unico fattore causale dell'evento.
La Suprema Corte ha chiarito che, ai sensi dell'art. 2087 c.c., il datore di lavoro deve ritenersi responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, pure qualora sia ascrivibile non soltanto ad una sua disattenzione, ma anche ad imperizia, negligenza e imprudenza (Cass. 10 settembre 2009, n. 19494), con la conseguenza che il datore di lavoro e totalmente esonerato da ogni responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore assuma caratteri di abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo "tipico" ed alle direttive ricevute, in modo da porsi quale causa esclusiva dell'evento (Cass. 13 gennaio 2017, n. 798; Cass. 17 febbraio 2009, n. 3786).
Qualora invece non ricorrano detti caratteri nel comportamento del lavoratore, il datore di lavoro e integralmente responsabile dell'infortunio dipendente dall'inosservanza delle norme antinfortunistiche, qualora la violazione dell'obbligo di sicurezza integri l'unico fattore causale dell'evento: non rilevando in alcun grado il concorso di colpa del lavoratore, posto che il datore di lavoro e tenuto a proteggerne l'incolumità nonostante la sua imprudenza e negligenza (Cass. 4 dicembre 2013, n. 27127; Cass. 25 febbraio 2011, n. 4656).
La Suprema Corte ha, inoltre, chiarito che qualora il lavoratore lamenti di avere subito un danno alla salute a causa dell'attività lavorativa svolta, lo stesso è tenuto a provare, oltre che l’esistenza di tale danno, anche la nocivita dell'ambiente di lavoro (ovvero la mancata adozione delle suddette misure protettive) e il nesso di causalità tra luna e l'altra. Soltanto se il lavoratore abbia fornito una tale prova, sussiste per il datore di lavoro l'onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno (Cass. 27 febbraio 2019, n. 5749; Cass. 8 ottobre 2018, n. 24742; Cass. 4 febbraio 2016, ri 2209).
La Suprema Corte ha, altresì, precisato che, in materia di responsabilità aquiliana, vige il principio posto dagli artt. 40 e 41 c.p., per il quale un evento e da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché il criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano, ad una valutazione ex ante, del tutto inverosimili. Ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile nell'accertamento del nesso causale, vigendo nel processo penale la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio", mentre in materia civile la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non" (Cass. S.U. 11 gennaio 2008, n. 576).
Corte di Cassazione Sez. Lav. 30 ottobre 2019, n. 27916